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La tutela dei consumatori nell'e-commerce


di Alessandro di Maggio


Il consumatore e la normativa Italiana.

La contrattazione in Internet dei consumatori ha sempre costituito un settore di grande interesse economico, politico e sociale. Infatti, il nostro legislatore ha mostrato, sin dal 1992, di voler stabilire delle regole che permettessero, da un lato, l’accrescimento della tutela giuridica di un soggetto che nella negoziazione con professionisti o imprese è generalmente riconosciuto debole, e dall’altro, stimolare lo sviluppo del nuovo mercato in Internet.
La debolezza del consumatore tradizionale potrebbe essere determinata dal suo minore potere economico, dalla sua minore informazione circa le caratteristiche e qualità del prodotto o del servizio, dalla sua necessità di entrare in possesso del bene o servizio e dall’essere bersagliato da campagne promozionali e pubblicitarie che lo sollecitano all’acquisto di un certo prodotto o all’utilizzo di un determinato servizio.
Da tale presupposto nasce l’esigenza del legislatore di proteggere il consumatore, accrescendo il potere di contrattazione e di tutela giuridica nei confronti della categoria considerata più forte.
Il primo punto verso il quale si è mosso il legislatore, sia comunitario che nazionale, è stato quello di stabilire dei criteri univoci per individuare quando un soggetto giuridico può essere considerato consumatore.
Molteplici sono state le contestazioni mosse nei confronti delle varie definizioni contenute nelle norme che tendono a caratterizzare il soggetto-consumatore come qualsiasi persona fisica che agisca con finalità non riconducibile alla propria attività professionale. Una fra molte definisce riduttive tali definizioni, in quanto può essere considerato consumatore (in ambito e-commerce) “chiunque abbia la disponibilità di un computer collegato in rete e/o sia titolare di una casella di posta elettronica”(1).
Pur essendo estremamente interessante esaminare il problema dell’individuazione precipua della definizione di consumatore, rimandiamo tale trattazione ad altra sede, andando invece ad esaminare attentamente come la normativa nazionale intende tutelare il consumatore nel commercio elettronico.

Gli articoli 1469 bis e seguenti c.c., inseriti nel libro quarto titolo secondo capo XIV-bis, denominati “dei contratti del consumatore”, possono essere applicati a tutti i tipi di contratti, indipendentemente dall’oggetto e dalle tecniche di conclusione, e quindi anche nel commercio elettronico, a condizione che uno dei contraenti sia un consumatore e l’altro un professionista.
La ratio di queste norme è quella di garantire al consumatore la tutela rispetto a quelle clausole contrattuali che comportino un eccessivo squilibrio tra gli obblighi e i diritti del consumatore nei confronti del professionista. Infatti ogni qualvolta il contratto presenti le clausole vessatorie tassativamente previste dall’art. 1469 quinquies (2), oppure nei casi in cui le clausole non siano state oggetto di trattativa individuale, il consumatore può chiedere che venga dichiarata l’inefficacia o, addirittura, può essere rilevata d’ufficio dal giudice.
Il D.Lgs. 15 gennaio 1992, n. 50 in tema di contratti conclusi fuori dei locali commerciali, con l’art. 9 introduce una disposizione favorevole al consumatore, recitando: «Le disposizioni del presente decreto si applicano anche ai contratti riguardanti la fornitura di beni o la prestazione di servizi, negoziati fuori dei locali commerciali sulla base di offerte effettuate al pubblico tramite il mezzo televisivo o altri mezzi audiovisivi, e finalizzate ad una diretta stipulazione del contratto stesso, nonché ai contratti conclusi mediante l'uso di strumenti informatici e telematici».
Il nodo centrale di tale norma si fonda sul diritto di recesso concesso al consumatore, in virtù del fatto che nei contratti conclusi fuori dei locali commerciali, costui viene colto in modo imprevisto da una proposta contrattuale che gli viene fatta in un luogo ed in circostanze inaspettate, senza che questi ne abbia fatto richiesta, e quindi, in qualche modo, intende rimediare alla probabile scelta affrettata di sottoscrivere un qualsivoglia contratto. Lo si vuole, quindi, preservare dall’effetto “sorpresa” della proposta negoziale e da un’eventuale consenso prestato per effetto delle tecniche, a volte aggressive o non basate sulla correttezza, di quei professionisti che operano fuori dei locali commerciali.
Viene naturale in proposito chiedersi, soprattutto per chi “naviga” abitualmente in Internet, come una norma del genere possa applicarsi alle transazioni effettuate in rete, in considerazione del fatto che il cyberconsumatore (3)non può affatto considerarsi come uno sprovveduto in balia del cybercommerciante, anzi in genere trattasi di un soggetto che, sfruttando le potenziali informative di Internet, si mette in condizione di effettuare una scelta oculata del bene o servizio oggetto di negoziazione. Il cyberconsumatore, inoltre, nella maggior parte dei casi non viene affatto colto di sorpresa da una proposta contrattuale inaspettata, essendo egli stesso che si rivolge a quei soggetti che offrono beni e servizi nella rete telematica.
Nell’interpretare tale norma, osservando che negli scambi telematici la negoziazione viene effettuata da casa o comunque da altro luogo che non è il luogo dov’è ubicato il locale commerciale, inteso nella concezione fisico-geografica del termine, si equipara questo tipo di transazione a quella effettuata fuori dei locali commerciali. In tal modo, però, si commette l’errore di considerare il cyberconsumatore alla stessa stregua del ragazzo che, uscendo dalla metropolitana viene incalzato da chi voglia fargli acquistare un corso di lingua, oppure accomunandolo alla signora che si trovi davanti alla porta della propria abitazione un venditore ambulante di aspirapolvere.
E’ ormai sempre più assodata l’opinione che il “locale commerciale virtuale” - cioè quello ubicato in internet e facilmente riconducibile al relativo professionista, sia tramite l’indirizzo web con il nome del titolare, sia nell’inserimento del domain name tra i segni distintivi dell’impresa – possa essere considerato a tutti gli effetti come il negozio in cui il professionista espone i beni e/o i servizi oggetto della propria attività commerciale o imprenditoriale(4) . Nel locale virtuale, il consumatore si reca liberamente, senza costrizioni, effetti sorpresa o altri elementi che possano indurlo a prestare il proprio consenso contrattuale frettolosamente o inaspettatamente, esattamente come accade nella classica negoziazione nei locali commerciali tradizionali.

Il D.Lgs. 22 maggio 1999, n. 185, relativo alla tutela dei consumatori in materia di contratti a distanza, si prefigge l’obiettivo di regolare il fenomeno del contratto stipulato tra assenti.
Il nodo centrale della disciplina in questione sembra essere la formazione del consenso negoziale, facendo gravare in capo al professionista tutta una serie di obblighi informativi (5), in modo da permettere al consumatore di prestare il c.d. consenso informato. Quest’ultimo, infatti, deve poter valutare esattamente, grazie alle informazioni fornitegli dal professionista (offerte anche su supporto durevole (6)), le qualità del servizio, del fornitore e del bene che si accinge ad acquistare.
Le informazioni devono essere chiare, comprensibili e prestate secondo il principio della correttezza (7), altrimenti il consumatore può svincolarsi dall’impegno contrattuale preso nei confronti del professionista, esercitando finanche il diritto di recesso entro 10 giorni lavorativi decorrenti dal ricevimento del bene, che possono diventare 3 mesi se le informazioni non sono state fornite anche su supporto durevole.

Il D.Lgs. 9 aprile 2003, n. 70, si propone, tra l’altro, di sviluppare un’economia basata sulla conoscenza, di pervenire a costi di produzione minori ed anche a maggiore scelta e migliore qualità dei prodotti consegnati, accrescendo così la fiducia dei consumatori. Tale fiducia, a monte, deve essere riposta su meccanismi che garantiscano la sicurezza, l’affidabilità delle comuni azioni compiute in rete, la certezza dell’integrità del documento, sistemi rapidi di composizione extragiudiziale delle controversie (8).
La disciplina in oggetto si fonda su estesi obblighi informativi generali (9), seguiti da tutta una serie di informazioni dirette alla conclusione del contratto che, fatte salve le informazioni già previste dalle precedenti norme in questa sede esaminate o previste per specifici beni o servizi, devono essere fornite in modo chiaro, comprensibile ed inequivocabile, prima dell’inoltro dell’ordine da parte del destinatario del servizio (10).
Con questa norma si è voluto disciplinare la materia del commercio elettronico, stabilendo regole precise e ad hoc, evitando cosi di dover ricorrere, come accadeva in passato, ad adattamenti o interpretazioni analogiche con altre norme simili, e si è cercato di rendere il più possibile unita, dal punto di vista giuridico, la società dell’informazione degli europei.

Codice del Consumo. L’ultimo passo normativo, che riguarda in prima persona il consumatore, è la Legge 29 luglio 2003, n. 229, che delega al Governo un’opera di riassetto delle disposizioni vigenti in materia di tutela dei consumatori, ancora in fase di lavorazione.
L’esigenza di raccogliere in un unico testo le disposizioni vigenti in materia di tutela del consumatore non è stata fino ad ora soddisfatta in via ufficiale. Tra l’altro, i tentativi promossi per scopi scientifici hanno semplicemente la funzione di promuovere un’interpretazione coordinata delle norme esistenti, ma non possono spingersi fino a modificare o integrare le disposizioni.
Il nuovo codice del consumo dovrebbe comprendere le regole che riguardano ogni fase in cui il consumatore è coinvolto dalle sue controparti, costituite dai soggetti della catena di produzione e distribuzione di prodotti e servizi.
Il Codice dovrebbe, inoltre, percorrere delle fasi volte a garantire lo sviluppo di nuove tecniche economico-sociali: da quelle volte a favorire l’educazione e l’informazione del consumatore nei momenti iniziali del processo, a quelle che tutelano il consumatore nella delicata fase della raccolta di informazioni da fonti istituzionali, commerciali, personali ed empiriche, a quelle che sostengono razionalità e trasparenza dei processi valutativi sulle alternative di scelta; fino alle norme tese a garantire la correttezza dei processi negoziali e delle forme contrattuali da cui discendono le decisioni d’acquisto, l’uso e il consumo.
A seguito di tale impostazione, la complessa e variegata normativa sulla tutela del consumatore dovrebbe risultare maggiormente fruibile da chiunque, ma anche dispiegare una maggiore efficacia sia nelle fasi di tutela e contenzioso sia, aspetto per molti versi più rilevante, nella funzione deterrente di comportamenti commercialmente o legalmente scorretti a danno dei consumatori.
La parte del Codice del Consumo più interessante, è la V (artt. 129-135) che, salvo modifiche, dovrebbe riguardare le associazioni dei consumatori e l’accesso alla giustizia, con particolare riferimento all’individuazione delle associazioni rappresentative a livello nazionale ed alle azioni proponibili dalle medesime.
In attesa che il nuovo Codice entri in vigore, proseguiamo nell’analisi dell’attuale disciplina a garanzia del consumatore e per la risoluzione delle controversie, stringendo il campo di studio alle transazioni che nascono e si sviluppano nella (e/o tramite la) rete telematica.

Autodisciplina, codici di condotta e responsabilità civile.

Già in passato, nella rete, si avvertivano esigenze di tipo autodisciplinare riguardo ad alcuni comportamenti dei soggetti fruitori dei servizi della società dell’informazione che, a causa della scarsa certezza e duttilità della normativa statale, hanno portato all’elaborazione di regole deontologiche (di natura informale) fondate su buon senso, tolleranza e dialogo, identificate con il nome di Netiquette (11).
Il legislatore ha dovuto, quindi, prendere atto della sempre mutevole realtà di internet, la quale ben poco si presta ad essere sottoposta ad una rigida ed analitica disciplina di carattere legislativo. Quest'ultima è, infatti, per sua natura statica o quanto meno poco reattiva e pertanto lenta nell'adeguarsi alle esigenze del mercato e della società civile.
Basandosi anche sull’esperienza commerciale tradizionale che ci ha fatto assistere alla nascita di numerose operazioni di autoregolamentazione - soprattutto ad opera di categorie di soggetti interessati ad elevare lo standard comportamentale dei propri operatori, ispirandosi a dei valori “etici” - il legislatore comunitario prima e quello nazionale poi, presa coscienza dell’importanza di una fonte di natura autodisciplinare, non si è limitato solamente a riconoscerne l’alto valore integrativo e interpretativo, ma si è spinto sino a stimolarne la creazione, inserendo all’interno delle norme positive di nuova generazione, la promozione dei c.d. codici di condotta.
In tema di commercio elettronico, l’art. 18 del D.Lgs. n. 70/2003, infatti, afferma che «le associazioni o le organizzazioni imprenditoriali, professionali o di consumatori promuovono l'adozione di codici di condotta che trasmettono al Ministero delle attività produttive ed alla Commissione Europea, con ogni utile informazione sulla loro applicazione e sul loro impatto nelle pratiche e consuetudini relative al commercio elettronico».
L’intervento del legislatore ha solamente confermato quella che era una prassi, già da tempo affermata, del mercato europeo ed italiano. Alcune associazioni di imprenditori o di consumatori si erano già spinte autonomamente ad adottare codici di condotta al fine di promuovere e tutelare la sicurezza e la trasparenza delle transazioni commerciali telematiche, divenendo così di fatto enti certificatori della qualità dei servizi offerti via web dalle singole imprese aderenti.
La via "etica" scelta dalle associazioni di categoria, per quanto disinteressata e gratuita, viene dunque evidentemente diretta alla creazione del valore aggiunto di una speciale visibilità, credibilità ed affidabilità. Le imprese che aderiscono ufficialmente e formalmente ai codici dovrebbero pertanto incontrare un maggiore favore nel mercato, oggi più che mai attento agli aspetti qualitativi delle offerte economiche.
I codici di condotta - composti da regole riguardanti la trasparenza dei rapporti, la qualità dei beni e dei servizi, la puntualizzazione delle garanzie e le correlate responsabilità, la descrizione della risoluzione di eventuali controversie mediante l’individuazione di procedure ad hoc e le sanzioni previste per chi si discosta da tali regole - devono definire gli standard da osservare nei confronti dei consumatori, integrando così le norme di fonte legislativa.
Il rischio di queste operazioni di autoregolamentazione è legato al fatto che l'adozione dei codici di condotta potrebbe rivelarsi null'altro che una mera operazione di marketing degli aderenti, stante la terzietà in genere fittizia delle associazioni certificatrici rispetto al soggetto certificato. Sarebbe opportuno che, nei casi in cui non sia espressamente previsto un controllo di una specifica Autorità garante, i codici predisposti dalle associazioni imprenditoriali venissero notificati all’autorità Garante della concorrenza e del mercato per la verifica della loro legittimità.
Per rendere immediatamente visibile da parte del consumatore l'adesione di un’impresa ad un codice etico, le associazioni hanno dovuto far ricorso alla creazione di marchi ad hoc.
Il legislatore nazionale non incide sui meccanismi di adozione del codice di condotta: la sua approvazione rimane rimessa esclusivamente alla volontà delle associazioni di categoria senza alcuna forma di pubblica autorizzazione. La legge prevede semplicemente che i codici di condotta vengano trasmessi per conoscenza al Ministero delle attività produttive e alla Commissione europea, con tutte le informazioni relative alla modalità di attuazione.

Come incide tutto questo nella tutela del consumatore?
Occorre rilevare, in primo luogo, che a tali codici non è attualmente riconosciuto alcun valore di fonte normativa: le loro disposizioni non sono quindi efficaci erga omnes. Come ogni contratto, essi hanno forza di legge tra le parti, ma solo tra le parti.
Rispetto ad essi, il consumatore si presenta, quindi, come un terzo, il cui legittimo affidamento in buona fede merita, comunque, sicura tutela, alla stregua dei principi generali dell’ordinamento. Nel momento in cui il consumatore entra in contatto con l’impresa che effettua commercio elettronico, sapendo che questa ha sottoscritto un accordo in cui si impegna al rispetto di determinati standard con analoghe imprese del settore, si aspetta dalla stessa il comportamento conforme.
Già in una fase precontrattuale, le aspettative del consumatore nei confronti dell’impresa, vanno al di là di un generico rispetto del principio del neminem laedere, bensì ricomprendono l’osservanza di regole specifiche, quelle contrattualmente accettate dall’impresa. Potrebbe ravvisarsi a carico dell’impresa la responsabilità ex art. 1337 c.c. (dovere di buona fede nelle trattative e nella formazione del contratto).
D’altra parte, nel momento in cui l’impresa evidenzia on line la certificazione del marchio di qualità, pone il contenuto del relativo codice come elemento della propria offerta commerciale, al pari degli altri prodotti che immette sul mercato attraverso il web. Il convincimento del consumatore, la formazione della sua volontà negoziale, infatti, si determinano proprio sulla base dell’offerta complessiva evidenziata dall’impresa in rete e dalle garanzie che la medesima sembra assicurare. Tutte le immagini, i links, i servizi e i documenti presenti sul sito, hanno, in quest’ottica, un particolare valore proprio perché costituiscono l’unico elemento con cui il consumatore può interagire, dato l’interlocutore distante, impersonale e virtuale.
Il fatto di rendere pubblica e comunicare sul sito attraverso cui effettua commercio elettronico la sua adesione al codice di condotta, è indice dell’intento dell’impresa di attenersi alle relative norme anche nei confronti dei potenziali utenti in rete. Le norme di autodisciplina entrano in tal modo, seppur indirettamente, a far parte dell’accordo contrattuale con i consumatori e costituiscono un impegno consapevolmente e volontariamente assunto da parte dell’imprenditore. A tale stregua, un’impresa che appone on line la certificazione inerente la sottoscrizione del codice, in caso di violazione delle relative norme, potrebbe essere chiamata a rispondere anche di inadempimento contrattuale nei confronti del consumatore.
In tal modo, si consentirebbe al consumatore danneggiato di beneficiare del più favorevole regime della ripartizione dell'onere della prova, del grado della colpa e della prescrizione, tipici delle obbligazioni da contratto, rispetto al più gravoso regime della responsabilità aquiliana.
Si potrebbe ravvisare, in via solidale, un’ulteriore responsabilità, extracontrattuale stavolta, in capo agli enti certificatori, che hanno attribuito il marchio di qualità. L’ente risponderebbe per culpa in vigilando, avendo ingenerato nel pubblico una fiducia infondata e mal risposta.



Note


(1) V. FRANCESCHELLI, Il commercio elettronico e le regole del mercato, in AA.VV., Commercio elettronico e servizi della società dell’informazione, Giuffrè Editore, 2003, pag. 22.
(2) «Sono inefficaci le clausole che, quantunque oggetto di trattativa, abbiano per oggetto o per effetto di: 1) escludere o limitare la responsabilità del professionista in caso di morte o danno alla persona del consumatore, risultante da un fatto o da un’omissione del professionista; 2) escludere o limitare le azioni del consumatore nei confronti del professionista o di un’altra parte in caso di inadempimento, totale o parziale o di adempimento inesatto da parte del professionista; 3) prevedere l’adesione del consumatore come estesa a clausole che non ha avuto, di fatto, la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto.»
(3) Il consumatore che acquista in internet. Vedi per approfondimenti G. SCORZA, La tutela del consumatore in internet, Edizioni Simone, 2000, pag. 17 e ss.
(4) E. MINERVINI e P. BARTOLOMUCCI, Il contratto telematico – La tutela del consumatore on line, in AA.VV., Manuale di diritto dell’informatica, Edizioni Scientifiche Italiane, 2004, pag. 68 e ss.
(5) L’art. 3 comma 1 del D.Lgs. 185/1999 stabilisce: «In tempo utile, prima della conclusione di qualsiasi contratto a distanza, il consumatore deve ricevere le seguenti informazioni: a) identità del fornitore e, in caso di contratti che prevedono il pagamento anticipato, l'indirizzo del fornitore; b) caratteristiche essenziali del bene o del servizio; c) prezzo del bene o del servizio, comprese tutte le tasse o le imposte; d) spese di consegna; e) modalità del pagamento, della consegna del bene o della prestazione del servizio e di ogni altra forma di esecuzione del contratto; f) esistenza del diritto di recesso o di esclusione dello stesso ai sensi dell'articolo 5, comma 3; g) modalità e tempi di restituzione o di ritiro del bene in caso di esercizio del diritto di recesso; h) costo dell'utilizzo della tecnica di comunicazione a distanza, quando è calcolato su una base diversa dalla tariffa di base; i) durata della validità dell'offerta e del prezzo; l) durata minima del contratto in caso di contratti per la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi ad esecuzione continuata o periodica.»
(6) L’art. 4 comma 1 del D.Lgs. 185/1999. «Il consumatore deve ricevere conferma per iscritto o, a sua scelta, su altro supporto duraturo a sua disposizione ed a lui accessibile, di tutte le informazioni previste dall'articolo 3, comma 1, prima od al momento della esecuzione del contratto.»
(7) Art. 3 comma 2 D.Lgs. 185/1999. «Le informazioni di cui al comma 1, il cui scopo commerciale deve essere inequivocabile, devono essere fornite in modo chiaro e comprensibile, con ogni mezzo adeguato alla tecnica di comunicazione a distanza impiegata, osservando in particolare i principi di buona fede e di lealtà in materia di transazioni commerciali, valutati alla stregua delle esigenze di protezione delle categorie di consumatori particolarmente vulnerabili.»
(8) Vedi Relazione Governativa al D.Lgs. 70/2003.
(9) Art. 7 comma 1 D.Lgs. 70/2003. «Il prestatore, in aggiunta agli obblighi informativi previsti per specifici beni e servizi, deve rendere facilmente accessibili, in modo diretto e permanente, ai destinatari del servizio e alle Autorità competenti le seguenti informazioni: a) il nome, la denominazione o la ragione sociale; b) il domicilio o la sede legale; c) gli estremi che permettono di contattare rapidamente il prestatore e di comunicare direttamente ed efficacemente con lo stesso, compreso l'indirizzo di posta elettronica; d) il numero di iscrizione al repertorio delle attività economiche, REA, o al registro delle imprese; e) gli elementi di individuazione nonché gli estremi della competente autorità di vigilanza qualora un'attività sia soggetta a concessione, licenza od autorizzazione; f) per quanto riguarda le professioni regolamentate: 1) l'ordine professionale o istituzione analoga, presso cui il prestatore sia iscritto e il numero di iscrizione; 2) il titolo professionale e lo Stato membro in cui è stato rilasciato; 3) il riferimento alle norme professionali e agli eventuali codici di condotta vigenti nello Stato membro di stabilimento e le modalità di consultazione dei medesimi; g) il numero della partita IVA o altro numero di identificazione considerato equivalente nello Stato membro, qualora il prestatore eserciti un'attività soggetta ad imposta; h) l'indicazione in modo chiaro ed inequivocabile dei prezzi e delle tariffe dei diversi servizi della società dell'informazione forniti, evidenziando se comprendono le imposte, i costi di consegna ed altri elementi aggiuntivi da specificare; i) l'indicazione delle attività consentite al consumatore e al destinatario del servizio e gli estremi del contratto qualora un'attività sia soggetta ad autorizzazione o l'oggetto della prestazione sia fornito sulla base di un contratto di licenza d'uso.»
(10) Art. 12 comma 1 D.Lgs. 70/2003. «Oltre agli obblighi informativi previsti per specifici beni e servizi nonché a quelli stabiliti dall'articolo 3 del decreto legislativo 22 maggio 1999, n. 185, il prestatore, salvo diverso accordo tra parti che non siano consumatori, deve fornire in modo chiaro, comprensibile ed inequivocabile, prima dell'inoltro dell'ordine da parte del destinatario del servizio, le seguenti informazioni: a) le varie fasi tecniche da seguire per la conclusione del contratto; b) il modo in cui il contratto concluso sarà archiviato e le relative modalità di accesso; c) i mezzi tecnici messi a disposizione del destinatario per individuare e correggere gli errori di inserimento dei dati prima di inoltrare l'ordine al prestatore; d) gli eventuali codici di condotta cui aderisce e come accedervi per via telematica; e) le lingue a disposizione per concludere il contratto oltre all'italiano; f) l'indicazione degli strumenti di composizione delle controversie.»
(11) Con questo neologismo, da network ed etiquette, si individuano quei principi di buon comportamento stabiliti dai partecipanti dei newsgroup.

Inserito il 16/05/2005 | E-Commerce


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