Aspetti amministrativi del commercio elettronico
di Cinzia Delli Priscoli
Dal punto di vista giuridico il commercio elettronico si può dire che consista in una tecnica tramite la quale due o più soggetti concludono contratti di compravendita a distanza, ove lo scambio di proposta ed accettazione non si cristallizza in un documento cartaceo ma si fissa su supporti informatici che vengono scambiati per via telematica.
La particolarità della tecnica adottata e l’ambito nel quale essa si manifesta ha fatto sorgere numerosi problemi e questioni giuridiche alle quali si è cercato di dare soluzioni e risposte applicando, quando possibile, la normativa generale prevista dal codice civile, oppure adattandola alle nuove realtà informatiche e telematiche.
I principali profili giuridici che verranno in questa sede analizzati, riguardano gli adempimenti ed i divieti “amministrativi” all’esercizio del commercio elettronico.
- Gli Adempimenti e Divieti Amministrativi all’esercizio del commercio elettronico.
La società, o l’imprenditore individuale, che intenda porre in essere un’attività di commercio elettronico deve porsi fin dall’inizio la domanda se esistono vincoli di natura amministrativa o comunque autorizzativa all’esercizio di tale attività.
Nel mondo del commercio off line la materia è stata disciplinata dalla legislazione di riforma del commercio (1) che persegue, tra le altre, finalità di “trasparenza del mercato”, di “tutela del consumatore” ma anche di “evoluzione tecnologica dell’offerta”. La normativa regola sia i rapporti di vendita al dettaglio (vendita ai consumatori) sia quelli all’ingrosso (vendita a professionisti).
Ad essa ha fatto poi seguito una Circolare del Ministero dell’Industria (2)che ha contribuito, assieme alla prima a fornire agli operatori la base normativa in materia. Dalla lettura delle su dette due norme, appare evidente la logica sottostante: la regolamentazione delle transazioni tra professionisti e quella delle transazioni tra questi ultimi e i consumatori è assai difforme, e ciò in ossequio alla attenzione che il legislatore ha posto negli ultimi anni alla tutela del consumatore.
La nuova disciplina del commercio però non si è limitata a dettare norme solo per lo scambio di beni off line, ma ha voluto incidere anche sul commercio via internet (in realtà incidendo soprattutto sulle attività di commercio B2C).
L’art. 4, primo comma del D. Lgs. n. 114/98 include, infatti, tra le forme speciali di “vendita al dettaglio”, anche le vendite poste in essere attraverso “altri sistemi di comunicazione” e quindi anche quelle operate a mezzo internet.
- La Normativa (italiana e comunitaria) “ad hoc” sul commercio elettronico in Italia.
Il corpus normativo italiano consta di un documento programmatico governativo, preceduto dalla elaborazione di un testo legislativo in cui è presente la definizione di commercio elettronico (l’art 21 del D.Lgs. n. 114/98 rubricati “commercio elettronico” è così sommariamente formulato: il Ministero dell’Industria, del commercio e dell’artigianato promuove l’introduzione e l’uso del commercio elettronico con azioni volte a: sostenere, tutelare, promuovere, predisporre, favorire, garantire il mercato elettronico, gli interessi economici, lo sviluppo dell’informazione, la competitività delle imprese, la fiducia del consumatore).
Tra le fonti comunitarie, va menzionata, la direttiva dell’Unione Europea n. 31 dell’8 giugno 2000, “relativa ad alcuni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno”, meglio nota come “direttiva sul commercio elettronico”.
Finalità della direttiva, è quella di creare un quadro di riferimento uniforme e chiaro nell’ambito del mercato comune per un pieno sviluppo del commercio elettronico. La direttiva non è volta in modo precipuo a tutelare i consumatori, bensì a fissare delle regole generali di funzionamento del mercato telematico.
L’obiettivo è quello di favorire la prestazione di servizi telematici e di garantire la piena tutela del contratto telematico. Ciò nonostante, e non avrebbe potuto essere diversamente atteso il rilievo della relativa problematica, alcune disposizioni prendono direttamente in considerazione proprio la posizione del consumatore nel mercato telematico.
La direttiva richiamata, 2000/31/CE, contiene alcune previsioni dettate con riguardo alla materia del commercio elettronico, ma esse si inquadrano in un ambito normativo volto a disciplinare in modo diretto le condizioni di esercizio, nell’ambito comunitario, dell’attività di prestazione di servizi telematici, sicché la posizione dei consumatori è considerata in via incidentale.
Il D.Lgs. n. 185 del 1999, che appare quello più centrato sulle esigenze del commercio elettronico, individua un adeguato strumento di tutela soprattutto per i consumatori, configurando, quali illeciti amministrativi, tutte condotte che violino i precetti in esso fissati.
Di particolare rilievo è, comunque, il testo della direttiva n. 2000/31/CE che fissa principi di armonizzazione per la fornitura di beni e servizi attraverso internet e regolamenta le comunicazioni commerciali e le modalità per la conclusione di contratti on line.
Benché non siano state risparmiate critiche alla direttiva stessa (soprattutto con riferimento alla programmaticità dell’intervento comunitario ed all’assenza della previsione di soluzioni specifiche volte a risolvere taluni problemi), si deve riconoscere la particolare attenzione dimostrata dal legislatore comunitario al consumatore che si avventuri nella “rete delle reti”.
Nel decimo “considerando” della direttiva si legge che l’obiettivo del documento è quello di fare in modo che “lo spazio interno sia veramente libero da frontiere per il commercio elettronico, e debba garantire un alto livello di tutela degli obiettivi di interesse generale, come la protezione dei minori e della dignità umana, la tutela del consumatore e della sanità pubblica”.
Va dunque riconosciuta che, grazie all’intervento del legislatore europeo, sarà ora necessario mettere il consumatore nelle condizioni di conoscere due elementi fondamentali relativi al prestatore dei servizi: l’identità ed il luogo di residenza.
In particolare, l’art. 5 della Direttiva in parola stabilisce che gli Stati membri debbano adoperarsi affinché il prestatore di servizi renda facilmente accessibili in modo diretto e permanente ai destinatari del servizio e alle competenti autorità almeno le seguenti informazioni: A) il nome del prestatore; B) l’indirizzo geografico “dove il prestatore è stabilito”; C) gli estremi che permettono di contattare rapidamente il prestatore e di comunicare direttamente ed efficacemente con lui, compreso l’indirizzo di posta elettronica.
Inoltre, per quanto riguarda l’offerta di prestazioni di servizi da parte di rappresentanti delle professioni, tra le quali quella forense, puntualmente regolamentata, sarà necessario indicare:
1. l’ordine professionale o istituzionale analoga, presso cui il fornitore è iscritto;
2. il titolo professionale e lo Stato membro in cui è stato rilasciato;
3. un riferimento alle norme professionali vigenti nello Stato membro di stabilimento nonché le modalità di accesso alle medesime.
- Profili Amministrativi del Commercio Elettronico.
Ci si trova nella condizione di una vox clamat in deserto. E’ emblematico, infatti, come degli aspetti amministrativi, ad eccezione di una citazione men che sommaria ad opera di Finocchiaro (in “profili giuridici del commercio elettronico”, 1999), non vi sia traccia nella manualistica dedicata alle questioni giuridiche del commercio elettronico
- Le Regole Generali Applicabili su internet.
Indicare concretamente ad un soggetto, che usufruisca di internet, quali siano le disposizioni che regolano la sua attività in rete, rappresenta impresa ardua. Non emerge allo stato attuale una piena consapevolezza delle conseguenze giuridiche delle attività svolte attraverso la Rete delle reti, carenza vieppiù incrementata dai numerosi cantori di internet quale free space.
E tuttavia, al fine di enucleare talune di siffatte regole, sono stati proposti tre parametri di riferimento: “soggetto”, “attività”, “oggetto”.
In altre parole, chi opera in rete è tenuto al rispetto:
a) delle condizioni e presupposti di legittimazione, sotto il profilo soggettivo, allo svolgimento dell’attività;
b) delle regole che concernono lo svolgimento dell’attività medesima, da parte del soggetto legittimato;
c) delle regole che attengono oggettivamente al prodotto o al servizio.
Per quanto attiene al punto (a): va detto che per legittimazione soggettiva, s’intende il possesso, da parte dell’ingresso, di tutti i requisiti che la legge richiede affinché possa svolgere l’attività. Si pensi a colui che intenda svolgere su internet l’attività di agente di commercio o di mediatore, la circostanza che tale attività sia svolta in rete non esclude la necessità, da parte del soggetto, del rispetto della legge 3 maggio 1985, n. 204 (recante la disciplina dell’attività di agente e rappresentante di commercio), ovvero della legge 3 febbraio 1989, n. 39 (sulla disciplina della professione iscrizione di mediatore)(3).
In entrambe le fattispecie è prevista l’obbligatoria iscrizione in un Ruolo pubblico tenuto presso la Camera di commercio territorialmente
Circa il secondo punto (b), ossia il rispetto delle regole che concernono lo svolgimento dell’attività medesima, queste, riferendosi sempre all’esempio degli agenti di commercio e dei mediatori, sono disegnate dal codice civile, agli artt. 1742-1753 e 1754-1756 (4).
Quanto, infine, alle regole che attengono oggettivamente al prodotto o al servizio, punto (c), deve ricordarsi che l’attività di vendita, ovvero di prestazione di servizi può comportare la sottoposizione ad alcune regole che attengono allo stesso prodotto o il servizio.
Il “soggetto”, “l’attività”, e “l’oggetto”, sono i termini di riferimento per individuare il complesso di regole che si applicano a chi intende operare su internet e dimostrano che le regole generali non perdono valore solo perché l’attività è svolta con uno strumento telematico (tale è internet). Competente, nonché uno stringente regime di incompatibilità.
Questo tipo di indicazioni sono state ribadite nell’ambito della Direttiva comunitaria n. 2000/31/CE, relativa a taluni aspetti giuridici del commercio elettronico nel mercato interno, come può risultare da una lettura sommaria del medesimo art. 5.
- Il Commercio elettronico e le Regole Amministrative Applicabili.
Premesso che alle attività svolte su internet si applicano le regole valide anche fuori di tale medium, alcun dubbio può legittimamente porsi sulla circostanza che occorrano delle autorizzazioni amministrative, licenze, permessi, et similia, per lo svolgimento dell’attività di commercio elettronico, questa espressione indica lo svolgimento di attività commerciali e di transazioni per via elettronica nonché attività diverse quali: la commercializzazione di beni e servizi per via elettronica, la distribuzione on line di contenuti digitali, l’effettuazione per via elettronica di operazioni finanziarie e di borsa; gli appalti per via elettronica ed altre procedure di tipo transattivo delle Pubbliche Amministrazioni.
Al di là dello scambio telematico avente ad oggetto beni e/o servizi, al commercio elettronico si intende dare la valenza di mezzo al fine della trasformazione delle attività economiche ed amministrative sia private che pubbliche. Non è un caso che uno degli strumenti tecnici per assicurare la certezza giuridica sia la firma digitale (ed elettronica) che è stata realizzata con riferimento ad istanze di semplificazione amministrativa, seppur con i previsti risvolti privatistici.
La decisione di non definire “esattamente” il commercio elettronico è utile ad evitare che una concettualizzazione troppo marcata elida alla radice i possibili sviluppi del settore. I servizi della società dell’informazione cui fare riferimento sono quelli prestati a distanza, per via elettronica ma non è chiaro se si voglia intendere il commercio elettronico on line ovvero off line (5). Con l’espressione “attività di tipo economico” si intende che i servizi oggetto della direttiva non vanno ristretti a quelli necessari alla vendita di beni on line ma riferiti anche a tutti quelli prevalentemente attinenti alla gestione/fornitura/accesso ad informazioni, anche se non correlati direttamente ad una operazione di vendita.
Alla luce della definizione data dalla Commissione europea, il commercio elettronico viene normalmente distinto in tre partizioni:
a. business to business (B2B): relativo alle contrattazioni effettuate tra un’impresa ed altre imprese o organizzazioni (siano esse partner commerciali, fornitori o istituzioni);
b. business to consumer (B2C): che riguarda invece, l’insieme dei rapporti di commercializzazione di beni e servizi tra imprese e consumatori finali;
c. business to Public Administration/Government (B2Pa o B2Go): ovvero le contrattazioni che riguardano le imprese con le pubbliche amministrazioni nonché le vendite effettuate da queste ultime;
d. business Public Administration to Public Administration (Pa2Pa o Go2Go): che riguarda gli scambi effettuati tra le pubbliche amministrazioni;
e. business Public Administration to citizen (Pa2C o Go2C): che attiene ai rapporti tra l’amministrazione ed i cittadini.
Con il termine “Commercio” deve intendersi quello che costituisce oggetto di una attività di tipo professionale, dacché il “commerciante” non è il soggetto che compie meri atti di compravendita, ma colui che li inquadra all’interno dello svolgimento di una attività abituale e non occasionale finalizzata a trarne un profitto (6).
L’art. 4 del D.Lgs. n. 114/98 distingue il commercio a seconda che sia all’ingrosso ovvero al dettaglio:
- il commercio all’ingrosso è l’attività svolta da chiunque professionalmente acquista merci in nome e per conto proprio e le rivende ad altri commercianti all’ingrosso o al dettaglio, o ad utilizzatori in grande.
- con l’espressione commercio al dettaglio si intende invece, l’attività svolta da chiunque professionalmente acquista merci in nome e per conto proprio e le rivende, su aree private in sede fissa o mediante altre forme di distribuzione, direttamente al consumatore finale.
Dalle due definizioni possiamo dedurre i seguenti caratteri comuni: 1) lo svolgimento dell’attività di commercio deve essere professionale ossia non occasionale; 2) il commercio prevede l’acquisto di prodotti (o i servizi). La forma giuridica sarà allora il contratto di compravendita (artt. 1470 ss. c.c.), ovvero, nel caso della vendita di giornali e riviste, il contratto estimatorio (artt. 1556-1558 c.c.), che è stato dalla giurisprudenza assimilato alla compravendita, per le peculiari esigenze della distribuzione di questi prodotti; 3) l’acquisto deve avvenire in nome e per conto proprio; 4) l’acquisto è finalizzato alla successiva rivendita.
Non essendo previsti questi caratteri, non si può parlare di commercio (né tanto meno, di commercio elettronico) nelle ipotesi di business Public Administration to citizens e di business person to person.
Si può confermare la definizione di commercio elettronico da noi elaborata, come “qualunque forma di fornitura di prodotti e/o servizi, a titolo oneroso, tra una impresa (produttore o grossista) ed un’altra impresa (produttore, grossista o dettagliante) e tra una impresa (produttore o dettagliate) ed un consumatore finale, realizzata mediante strumenti informatici (c.d. acquisti off line) e telematici (c.d. acquisti on line).
- Le indicazioni del D.lgs. n. 114/98 Il commercio elettronico da parte del Dettagliante e del Grossista.
Per quanto riguarda la regolamentazione del commercio elettronico, il citato D.lgs. n. 114/98, impiega questa espressione solo all’art. 21, laddove prevede, a carico del Ministero dell’Industria (ora delle Attività produttive), il compimento di azioni volte a promuovere: “l’introduzione e l’uso del commercio elettronico”, senza, però, che sia data alcuna ulteriore indicazione circa i confini giuridici di questa forma di commercio o sulle disposizioni ad esso applicabili (7).
Un indiretto riferimento al commercio elettronico è rinvenibile nell’ambito dell’art. 18, laddove, nel compendiare una serie di tipologie di vendite al dettaglio a distanza, vi include anche tutte quelle effettuate mediante altri sistemi di comunicazione.
Questo appiglio normativo è sfuggito alla quasi totalità degli “esperti” della materia a causa, evidentemente, del fatto che la disciplina amministrativa del commercio non è materia insegnata nei nostri corsi universitari.
Dalla lettura del citato articolo 18 sono ricavabili alcune regole applicabili al commercio elettronico ed esattamente:
a) l’obbligo di previa comunicazione al Comune nel quale l’operatore ha la residenza, se persona fisica, o la sede legale, se società, con la quale dichiara la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 5 del decreto, nonché il settore merceologico di attività, alimentare, non alimentare, ovvero entrambi.
La comunicazione può essere effettuata mediante l’apposito modello predisposto dal Ministero delle Attività produttive (modello COM 6bis), ovvero tramite comunicazione che contenga gli stessi elementi, come quella che si sta cercando di elaborare;
b) l’attività può essere esercitata solo decorsi 30 giorni dal ricevimento della comunicazione da parte del comune.
Questo quanto ai presupposti di tipo amministrativo. Il decreto indica però anche delle regole per lo svolgimento delle attività.
Innanzitutto, non è ammesso l’invio di prodotti al consumatore, a meno che l’invio non sia stato da questi sollecitato mediante specifica richiesta in tal senso, ovvero non vi siano vincoli a suo carico (in primis quello della restituzione).
L’esigenza di tutelare il consumatore giustifica poi i rinvii alle regole previste dal D.Lgs. n. 50/1992, in materia di contratti negoziati fuori dei locali commerciali e a quelle, successive all’emanazione del Decreto Bersani, dettate dal D.Lgs. n. 185/19999, concernente l’attuazione della direttiva 97/7/CE relativa alla protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza.
Infine, sono previsti dei divieti (come quello delle aste on line) ed il relativo regime sanzionatorio di cui all’art. 22. Tale articolo stabilisce, per i casi di violazione dell’art. 18, l’applicazione di una sanzione amministrativa consistente nel pagamento di una somma da 5 a 30 milioni. La stessa sanzione è prevista per l’assenza dei requisiti di cui all’art. 5 del decreto.
In caso di particolare gravità o di recidiva, il sindaco può disporre la sospensione dell’attività fino a 20 giorni.
La genesi di questa previsione va senz’altro ricercata nella necessità avvertita dal legislatore di tutelare il consumatore televisivo da un meccanismo di vendita che si presta. Come si è di fatto prestato, a truffe contro le quali il contraente medio è incapace di applicare efficaci meccanismi di difesa.
La norma dispone che il divieto opera anche per le aste realizzate per mezzo “di altri mezzi di comunicazione”, e quindi, sembrerebbe, anche di internet. Su questo punto si è aperto un dibattito dottrinale; qui basta ricordare che:
- non sembrano esserci più dubbi circa l’esclusione dell’applicabilità di tale divieto al B2B;
- parte della dottrina ritiene addirittura non applicabile tout court tale divieto alle cosiddette “aste” on line in quanto in realtà non si tratterebbe di vere aste: l’assenza di un contratto di mandato a vendere tra il venditore e la casa d’aste, l’assenza di un banditore e della sua attività di gestione della vendita, l’assenza di un accordo che preveda, in caso di aggiudicazione, l’incasso della somma da parte della casa d’aste con contestuale accreditamento della stessa al venditore, al netto delle commissioni fanno si che la fattispecie delle “aste” on line non possa essere ricondotta a quella delle vendite all’asta tradizionali.
Va inoltre precisato che le indicazioni fornite sono complicate da una serie di avvertenze: la prima consiste nel fatto che il decreto – per sua espressa elencazione – non si applica al alcuni soggetti, tra i quali:
1) gli industriali (che non sono menzionati dal decreto);
2) i produttori agricoli, singoli o associati, i quali esercitino l’attività di vendita di prodotti agricoli nei limiti di cui all’art. 2135 c.c. ;
3) gli artigiani iscritti nell’albo di cui alla legge 8 agosto 1985, n. 443;
4) chi venda o esponga per la vendita le proprio opere d’arte, nonché quelle dell’ingegno a carattere creativo;
5) gli enti pubblici ovvero le persone giuridiche private alle quali partecipano lo Stato o altro ente territoriale.
Ovviamente, se non si applica l’intero decreto, non si applica neppure una sua parte, ossia il già menzionato art. 18.
Inoltre tale articolo si applica unicamente ai soggetti che esercitano il commercio al dettaglio, come risulta dal suo inserimento nel Titolo VI del decreto, dedicato alle forme speciali di vendita al dettaglio, donde si esclude la sua applicabilità alle forme di vendita all’ingrosso effettuate in Rete.
Ne consegue che, per poter effettuare tali vendite su internet, i grossisti sono tenuti, unicamente, al possesso dei requisiti soggettivi previsti dall’art. 5 del decreto e, in particolare, di quelli professionali se il commercio riguardi i prodotti appartenenti al settore merceologico alimentare.
Quanto sopra detto è stato confermato dal Ministero dell’Industria (ora delle attività produttive), con la circolare 1 giugno 2000, n. 3487/C che, con la proverbiale prudenza ministeriale, premette che le indicazioni sono fornite “nei limiti e per gli effetti” del D.lgt. n. 114/98 , dando ad intendere non solo i limiti della competenza interpretativa ma anche che i problemi disciplinari del commercio elettronico non possono risolversi unicamente avuto riguardo al Decreto Bersani (che, come si diceva; non offre una regolamentazione ad hoc).
Rispetto al problema della vendita all’ingrosso su internet, la menzionata circolare, osservato che l’art. 26, secondo comma, D.lgt. n. 114/98 proibendo l’esercizio congiunto del commercio all’ingrosso e al dettaglio nello stesso locale, risolve la questione della “promiscuità” richiedendo all’operatore che voglia svolgere sia l’attività di ingrosso che di dettaglio on line tramite un unico sito di “destinare aree del sito distinte per l’attività all’ingrosso e al dettaglio: in tal modo, infatti, il potenziale acquirente è messo in condizione di individuare chiaramente le zone del sito destinate alle due tipologie di attività”.
Seguendo questo suggerimento, il dettagliante/grossista potrà agevolmente distinguere le modalità di contrattazione con i proprio clienti, poste le diverse regole di salvaguardia disposte nei confronti dei consumatori e non anche nei soggetti compratori che non rivestano questo status.
Curiosamente, va detto che, il mancato rispetto di tale previsione non determina alcuna conseguenza, poiché nell’elencazione dei comportamenti sanzionati dall’art. 22, non è fatta parola dell’art. 26, secondo comma.
- Il Commercio Elettronico esercitato dall’Industriale, dall’Agricoltore e dall’Artigiano
Affrontato il problema concernente l’attività “promiscua” del grossista on line qualche parola deve essere spesa rispetto al commercio elettronico da alcune categorie.
A - l’industriale
Per gli industriali ci si chiede se questo tipo di operatori siano sempre svincolati dall’applicazione del D.lgt. n. 114/98 e quindi in grado di eserciate l’attività di vendita tramite il commercio elettronico senza sottostare ad alcuna indicazione.
Qualora l’industriale venda on line i prodotti fabbricati, questi possono essere acquistati dai consumatori anche direttamente solo se il luogo in cui avviene la vendita si trovi nei locali in cui avviene la produzione o in quelli ad essi adiacenti.
Si tratterà nella ipotesi di vendita tramite internet di consentire ai consumatori di pattuire, quale luogo di conclusione del contratto, detti locali, analogamente alla soluzione che, più avanti, si vedrà anche per gli artigiani.
B – l’Agricoltore
Per quanto attiene gli agricoltori, l’esclusione dal Decreto Bersani è legata al rispetto della legge 9 febbraio 1959, n. 59, concernente le “Norme per la vendita al pubblico in sede stabile di prodotti agricoli da parte degli agricoltori produttori diretti”.
Questi ultimi possono vendere i prodotti ottenuti dei rispettivi fondi per coltura o allevamento, su tutto il territorio nazionale, se muniti di apposita autorizzazione rilasciata dal Comune in cui intendono effettuare tale vendita. L’autorizzazione, se ricorrono i requisiti ex art. 3 e 5 della legge, è rilasciata dal Sindaco entro 15 giorni dalla data di presentazione.
L’agricoltore può dunque vendere legittimamente i ai suoi prodotti tramite internet.
Occorre ribadire che dalla disciplina speciale si evince che l’esercizio della vendita diretta degli agricoltori (una volta ottenuta la dovuta autorizzazione comunale) non conosce limiti territoriali di localizzazione. Sul punto, la giurisprudenza ha ribadito che “ogni interpretazione restrittiva che presupponga limitazioni, anche temporali, laddove le espressioni legislative possano essere interpretate in modo da rendere economicamente possibile la vendita.
Inoltre, internet è solo uno strumento di comunicazione e non può essere inibito ai soggetti che svolgono attività economica. Ad ogni modo, l’utilizzo di internet non significa svolgere attività di conclusione di contratti, posto che l'agricoltore potrebbe presentare unicamente on line il catalogo dei proprio prodotti, la cui vendita sarebbe poi effettuata presso il proprio fondo rustico (od altro luogo fisico).
Quanto detto deve essere completato con le importanti novità legislative derivanti dall’entrata in vigore del D.lgt. 18 maggio 2001, n. 228, recante “orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma dell’art. 7 della legge 5 marzo 2001 n. 57”. Con detto decreto è stata modificata la definizione di “imprenditore agricolo” contenuta nell’art. 2135 c.c. ed imposto l’obbligo di iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese (tale iscrizione ha l’efficacia di pubblicità dichiarativa ai sensi dell’art. 2193 c.c.).
Il decreto n. 228/2001, prevede una serie di condizioni personali ostative all’esercizio della vendita da parte degli agricoltori e quindi nella comunicazione occorre indicarne la non presenza, secondo quanto previsto dal D.P.R. n. 445/2000.
L’art 4, settimo comma del su menzionato decreto, conferma che la vendita diretta degli agricoltori è esclusa dall’applicazione del D.Lgs. n. 114/1998.
Tale esclusione non è però assoluta poiché il decreto da ultimo citato trova applicazione “qualora l’ammontare dei ricavi derivanti dalla vendita dei prodotti non provenienti dalle rispettive aziende nell’anno solare precedente sia superore a 80 milioni di lire per gli imprenditori individuali, ovvero a 2 miliardi per le società” (art. 4, ottavo comma, D.Lgs. n. 228/2001.
C – l’Artigiano
Per quanto attiene alla vendita on line effettuata dal produttore artigiano i problemi che sorgono sono ben più pregnanti, tenuto conto che la non applicazione delle regole previste dal D.Lgs. n. 114/98 è subordinata alla circostanza che la vendita dei propri prodotti avvenga nei locali di produzione o nei locali a questi adiacenti.
Dal dettato legislativo parrebbe escludersi la possibilità, per l’artigiano, di vendere i proprio prodotti tramite internet; ma la presenza su internet non vuol significare automaticamente lo svolgimento di una attività di vendita, altrimenti, così argomentando, all’artigiano sarebbe precluso l’impiego di strumenti promozionali, si pensi ad una inserzione su un quotidiano, solo perché fuori dei locali di produzione.
La disposizione richiede che la vendita abbia luogo nei locali di produzione o nei locali a questi adiacenti, con la conseguenza che se la vendita si conclude giuridicamente in detti locali non sussistono problemi all’ammissibilità del commercio on line anche da parte degli artigiani
E’ però indispensabile che il luogo di conclusione del contratto si opportunamente evidenziata all’interno del sito per l’attività on line.
- La Comunicazione al Comune per il Commercio Elettronico
I soggetti cui si applica l’art. 18 D.Lgs. n. 114/1998, ossia il dettagliante, è tenuto a presentare prima dell’inizio dell’attività una apposita comunicazione al Comune.
Tale comunicazione, come detto, deve essere effettuata con il mod. COM 6 bis distribuito dai Comuni e dalle Camere di Commercio, ovvero con una dichiarazione contente gli stessi elementi.
Il modello COM 6 bis è composto da un frontespizio, quattro sezioni, il quadro delle autocertificazioni e tre allegati.
Il frontespizio contiene i dati del soggetto che presenta la domanda e se la medesima sia presentata nella qualità di imprenditore individuale, ovvero di legale rappresentante di una società.
Le quattro sezioni, sono così organizzate:
la prima: è relativa all’avvio dell’attività, comprende le informazioni relative all’ubicazione dell’attività, al settore merceologico e se è svolta insieme ad altre.
la seconda: riprende le indicazioni della precedente sezione, completandole con i dati dell’impresa alla quale l’interessato subentra.
la terza: concerne le comunicazioni circa le variazioni intervenute sull’attività in corso. Le variazioni potranno riguardare la sede dell’impresa, il settore merceologico o il sito web.
la quarta: relativa alla cessazione dell’attività, prevede la comunicazione delle causa di cessazione, per trasferimento della proprietà o della gestione dell’impresa, ovvero per chiusura dell’attività.
L’interessato deve inoltre dichiarare, ai sensi del D.P.R. n. 445/2000:
= di essere in possesso dei requisiti morali previsti dall’art. 5, secondo e quarto comma, D.Lgs. n. 114/98;
= che non sussistono nei proprio confronti cause di divieto, di decadenza o di sospensione cui all’art. 10 legge 31 maggio 1965, n. 575 (8).
Giunti a questo punto, pare utile soffermare per un attimo l’attenzione sul regime dell’atto “comunicazione”, poiché trattasi di una figura giuridica – coniata dal D.Lgs. n. 114/98 – non assimilabile né alla denuncia di inizio attività, né all’atto di avvio del meccanismo del silenzio-assenzo (di cui agli artt. 19 e 20 legge n. 241/1990) .
Bisogna, comunque, rilevare con l’attività di commercio elettronico non sia sottoposta direttamente al regime di tipo autorizzatorio cui fanno riferimento gli articoli dianzi citati della legge n. 241/1990.
Infatti l’art. 19 prevede che il soggetto (la cui attività sia vincolata ad un consenso della P.A. “legato esclusivamente all’accertamento dei presupposti e dei requisiti di legge”) inizia immediatamente l’attività denunziando all’amministrazione competente l’esistenza dei presupposti e requisiti richiesi per il suo svolgimento.
L’art. 20 prevede, invece, che decorso un dato termine dalla domanda di un privato rivolta all’ottenimento di un espresso provvedimento autorizzatorio, questo si intende assentito automaticamente una volta decorso il termine previsto senza che sia stato comunicato all’interessato un provvedimento di diniego.
La comunicazione prevista dal Decreto Bersani non si configura quale una “domanda” cui l’amministrazione debba provvedere espressamente ma quale auto-attestazione, da parte dell’interessato, del possesso dei presupposti del diritto soggettivo all’esercizio dell’attività commerciale.
Non si dovrebbe rientrare all’interno di una fattispecie autorizzatoria, sia che la si intenda come autorizzazione espressamente concessa, ovvero come conseguenza del decorso previsto termine di 30 giorni.
Ne consegue che l‘interessato non può essere autorizzato all’avvio dell’attività prima dello scadere di detto termine poiché l’amministrazione non ha alcun potere di autorizzare detta attività. L’interessato non chiede un provvedimento “positivo”, bensì “comunica” la volontà di voler esercitare un diritto direttamente a lui riconosciuto dalla legge.
Il meccanismo normativo prevede però il sorgere del diritto soggettivo all’esercizio delle attività commerciali nell’ambito di una fattispecie complessa alla quale il decorso del termine conferisce effettività; termine, durante il quale l’amministrazione può rilevare unicamente la carenza dei presupposti al sorgere del diritto stesso.
Una volta decorsi i trenta giorni dal ricevimento della comunicazione da parte del Comune, l’interessato può iniziare legittimamente l’attività a condizione, ovviamente del possesso dei relativi requisiti presupposti di legge (9).
Contrariamente all’ipotesi della denuncia di inizio di attività – che prevede un termine entro il quale l’amministrazione deve effettuare i controlli, superato il quale l’attività può essere inibita solo per ragioni di pubblico interesse che giustificano il potere di autotutela – nella comunicazione prevista dal Decreto Bersani, l’amministrazione conserva, senza alcun limite temporale, il potere di verificare il mantenimento in capo al soggetto dei requisiti prescritti.
Infine, le sanzioni di cui all’art. 22 D.Lgs. n. 114/98, quali già richiamate, saranno irrogate quando:
- sia stata iniziata un’attività senza aver previamente inviato la comunicazione;
- l’attività, stante la comunicazione, sia iniziata prima che siano trascorsi trenta giorni dal momento della sua ricezione da parte del Comune;
- la comunicazione è mendace poiché il soggetto non ha i requisiti previsti dalla legge.
In questa ipotesi, oltre alle sanzioni amministrative, troveranno applicazioni anche quelle penali, di cui all’art. 76 D.P.R. n. 445/2000.
Conclusioni
Ancora due profili che possono incidere sulla regolamentazione (anche amministrativa) del commercio elettronico, meritano di essere evidenziati.
Il primo attiene al recepimento della direttiva 2000/31/CE in cui ad esempio l’art. 4 – relativo al “regime sanzionatorio”- prevede che gli Stati membri non sottopongano ad autorizzazione preventiva l’accesso degli interessati all’esercizio delle attività relative alla prestazione di servizi della società dell’informazione, ad eccezione delle autorizzazioni che non attengono direttamente ed esclusivamente ai servizi della società dell’informazione e di quelle concernenti il settore delle telecomunicazioni.
In sostanza si fa divieto agli Stati membri di introdurre delle autorizzazioni preventive (o altri atti amministrativi di analogo contenuto) relative esclusivamente all’impiego di un sito internet per lo svolgimento di un’attività economica ma ciò non significa che non trovino applicazione discipline concernenti i soggetti o le regole di svolgimento dell’attività.
Come nel nostro paese il già visto art. 18 D.Lgs. n. 114/98.
Il secondo profilo presenta profili alquanto delicati. A seguito, infatti, del referendum dell’ottobre 2001, è stata definitivamente resa efficace la legge costituzionale 12 marzo 2001, recante modifiche al Titolo V della Parte II della Costituzione, con la quale si assiste al ribaltamento, nell’ambito dell’ art. 117, del rapporto tra Stato e Regioni rispetto alle materie di esclusiva competenza legislativa: sono ora indicate, infatti, solo le materie di competenza esclusiva o concorrente dello Stato.
Tra le materie di competenza delle regioni vi rientra anche quella relativa al commercio, con la conseguenza che legittimamente ci si chiede se ciascuna Regione voglia regolamentare ex novo la materia e, per quel che qui interessa, anche dal punto di vista del commercio elettronico.
La nuova disciplina del commercio elettronico alla luce del D.Lgs 70/03: questioni generali di applicazione
Va innanzitutto detto che l’art 1 del D.Lgs. 70/2003, primo comma, ha deciso di eliminare parte dell’omologa disposizione contenuta nella Direttiva n. 31/2000.
Questa indicava come finalità il “buon funzionamento del mercato” “garantendo” la libertà dell’informazione. Ora “promuovere” (come si legge nel D.Lgs. n. 70/03) è cosa ben diversa dal “garantire”; e bisogna chiarire che il Decreto Legislativo nulla dice sul punto delle abrogazioni dell’attività di “promozione”, che resterà di competenza del Ministero dell’Industria (ora delle Attività produttive) ai sensi dell’art. 2 della L. 31 marzo 1998 n. 114. Ma per il resto il commercio elettronico esce da quel restrittivo quadro normativo ed è “garantito” dal diritto comunitario.
Deve pertanto ritenersi implicitamente abrogato per la sua evidente incompatibilità coi il sovra-ordinato diritto comunitario, il tentativo già posto in essere dal Ministero dell’Industria con la sua Circolare 1 giugno 2000, n. 3487/C di assoggettare a previa autorizzazione l’esercizio del commercio elettronico estendendo la portata dell’art. 18 della citata L. 114/98.
Dunque l’unica lettura della disposizione che non porti ad una procedura di violazione del diritto comunitario è quella secondo la quale il commercio elettronico è libero, in conformità a quanto previsto in generale dagli artt. 49 e ss. del Trattato di Roma e nello specifico dalla Direttiva n. 31/2000.
L’ambito applicativo
Il secondo comma dell’art. 1 della Direttiva si prefigge l’obiettivo di riprodurre il comma 5, delimitando il campo di applicazione della nuova disciplina. All’uopo bisogna individuare gli ambiti di competenza di ciascuno dei settori individuati; ma ciò avrebbe richiesto che il legislatore delegato tenesse conto di alcuni importanti interventi comunitari successivi alla Direttiva n. 31/2000.
In particolare ci si riferisce alla Direttiva n. 38/2002 e al Regolamento 792/00 relativo al regime dell’ IVA nel commercio elettronico; trattandosi in quest'ultimo caso di provvedimento immediatamente efficace all’interno degli ordinamenti degli Stati membri il suo richiamo, almeno nelle note, sarebbe stato opportuno. Del pari sono ignorate la Direttiva 58/02 sul trattamento dei dati personali nelle comunicazioni elettroniche e la Direttiva 65/2002 sulla prestazione a distanza di servizi finanziari.
Bisogna chiedersi se il Decreto sul commercio elettronico rappresenta una lex generalis che viene derogata dalla normativa consumeristica, qualificabile come lex specialis !! Il punto è che il medesimo Decreto non mira a modificare, riducendola, la portata delle esistenti discipline sulla tutela del consumatore. Si tratta di vedere se e quali integrazioni essa vi apporta.
Se il Decreto sul commercio elettronico potrà considerarsi legge generale essa avrà una portata più ampia; se, invece, costituisce una disciplina autonoma, tale portata sarà più ristretta.
A favore della prima tesi si può osservare che il Decreto intende disciplinare in maniera unitaria una precisa realtà economica, della quale fornisce una disciplina completa che va dalla sua costituzione fino all’apparato sanzionatorio, e dunque comprende aspetti di diritto amministrativo, diritto dei contratti, diritto della responsabilità civile, diritto processuale, diritto penale. Inoltre, come si è detto prima, per lo sviluppo del settore non è possibile scindere fra e-commerce “business to business” e e-commerce “business to consumer”. I due profili devono dunque essere visti in una prospettiva unitaria.
A favore della seconda tesi si può osservare che la disciplina consumeristica, ed in particolare quella sui contratti con i consumatori, ha raggiunto ormai dimensioni ragguardevoli, finendo per costituire una branca a parte dell’ordinamento: ne sono indici significativi, a livello comunitario, l’esistenza di una Direzione generale esclusivamente impegnata su quei temi ed una precisa ed orami consolidata politica di tutela dei consumatori che fa ormai parte dell’ “acquis communautaire” oltre che trovare espresso e sintomatico riconoscimento nell’art. 153 del Trattato di Roma.
La legge “speciale” sarebbe dunque infinitamente più grande e rilevante di quella “generale” (Decreto sul commercio elettronico) cui dovrebbe accedere.
In ogni caso il Decreto sul commercio potrà aggiungere delle regole alla disciplina consumeristica, ma non ne potrà ridurre la portata.
Note
(1) D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 114 – riforma della disciplina relativa al settore commerciale a norma dell’art. 4 quarto comma , della legge 15 marzo 1997, n. 59 (in suppl. ordinario n. 80 I alla G.U. n. 95 del 24 aprile).
(2) Circolare del Ministero dell’Industria n. 3487/C del 1 giugno 2000.
(3) Per semplicità espositiva nel testo si fa riferimento come “mediatore” a quello che la legge 39/1989 denomina “agente di affari in mediazione”.
(4) Un chiaro esempio sono le disposizioni relative agli obblighi specifici posti in capo al mediatore professionale in affari su merci, di cui all’art. 1760 c.c.
(5) L’art. 21 della direttiva prevede, ogni due anni, che la Commissione europea presenti una “relazione sull’applicazione della presente direttiva, corredata, se necessario, di proposte per adeguarla dell’evoluzione giuridica, tecnica ed economica dei servizi della società dell’informazione, in particolare per quanto concerne la prevenzione dei reati, la protezione dei minori, la tutela dei consumatori ed il corretto funzionamento del mercato interno”. Il rischio si palesa da questa decisione è quello di far rientrare nel commercio elettronico, situazioni diversificate a seconda della convenienza politica, confondendo gli aspetti pubblicistici e privatistici del fenomeno.
(6) Si tratta dell’area, dedicata ai rapporti tra Pubbliche Amministrazioni e cittadini, concernente la trasposizione in rete di tutti i rapporti, pratiche burocratiche e servizi riguardanti i rapporti tra la p.a., i cittadini e le imprese, il citato documento del ministero dell’industria correttamente evidenzia che tale area più che al commercio elettronico, si collega alla “democrazia elettronica”, ovvero allo snellimento dell’attività amministrativa mediante l’impiego del documento informatico e della firma digitale.
(7) Anche l’art. 103 della legge finanziaria per il 2001 – Legge n. 388/2000 – nel prevedere gli incentivi al commercio elettronico, fa riferimento al quinto comma, “allo sviluppo delle attività di commercio elettronico, di cui all’art. 21 del D.lgs. 114/98”. Si parla tout court di “commercio elettronico” all’art. 4, terzo comma, D.lgt. 18 maggio 2001, n. 228. l’art. 18 rubricato “vendita per corrispondenza o altri sistemi di comunicazione”.
(8) Non possono esercitare l’attività commerciale, salvo che abbiano ottenuto la riabilitazione:
a. coloro che sono stati dichiarati falliti;
b. coloro che hanno riportato una condanna, con sentenza passata in giudicato, per delitto non colposo per il quale è prevista una pena detentiva non inferiore al minimo di 3 anni;
c. coloro che hanno riportato una condanna a pena detentiva, con sentenza passata in giudicato per i motivi di cui al Tit. II e VII del Libro II del cod.pen.
d. coloro che hanno riportato due o più condanne a pena detentiva o a pena pecuniaria, nel quinquennio precedente all’inizio dell’esercizio dell’attività;
e. coloro che sono stati sottoposti ad una delle misure di prevenzione di cui alla legge 27 dicembre 1956, n. 1423.
Il divieto di esercizio dell’attività commerciale permane per la durata di cinque anni a decorrere dal giorno in cui la pena è stata scontata o si sia in altro modo estinta, ovvero, qualora sia stata concessa la sospensione condizionale della pena, dal giorno del passaggio in giudicato della sentenza.
(9) Si consideri che, per indicazione del Ministero dell’Industria (benché il D.lgt. n. 114/98 dica il contrario), il decorso dei 30 giorni non riguarda i casi di subingresso e di cessazione dell’attività.
Inserito il 13/05/2005 | E-Commerce