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Internet ed i reati sessuali contro i minori

di Silvia Benvissuto

Per inquadrare la cd. “pedofilia telematica”, ossia la trasmissione di materiale pedopornografico per via telematica, occorre preliminarmente soffermarsi sulle norme di riferimento, al fine di cogliere i percorsi logici seguiti dal legislatore e la sua esigenza di adeguarsi alle direttive impartite dagli organi trasnazionali nella materia in esame, analizzando, al contempo, le decisioni giurisprudenziali con le quali sono state interpretate le suddette norme, ne sono stati tracciati i confini e gli ambiti di operatività.
La L.3 agosto 1998, n.269 è diretta ad arginare al massimo il fenomeno dell’abuso e dello sfruttamento sessuale dei minori nella sua portata generale, e si occupa specificatamente del “subfenomeno” della pedofilia per via telematica in alcune delle sue disposizioni.
La legge in esame si ispira esplicitamente ai principi della normativa internazionale contenuta nella Convenzione del fanciullo, ratificata ai sensi della legge 27 maggio 1991, n.176, e nella dichiarazione finale della Conferenza mondiale di Stoccolma, adottata il 31 agosto 1996.
Va subito sottolineato che le norme introdotte dalla legge in esame non sono inserite nel capo I del titolo IX del libro secondo del codice penale relativo ai reati che violano la libertà sessuale, bensì vengono collocate nella sezione I del capo III del titolo XII del libro secondo del codice penale, ossia nella sezione volta a reprimere le condotte criminose che limitano la libertà personale, si concretano nella “riduzione in schiavitù” e violano i diritti della personalità individuale; ciò al fine evidente di attribuire un disvalore particolarmente intenso a quei comportamenti lesivi dello sviluppo sessuale e psico-fisico dei minori, considerandoli, appunto, quali nuove forme di riduzione in schiavitù. Questa scelta del legislatore, inoltre, conduce a separare le condotte di sfruttamento del minore ai fini criminosi previsti dalla legge e le condotte di violenza sessuale perpetrata in danno del minore sanzionate dagli artt. 609 bis e ss. Si tratta di due condotte distinte e ben definite, che ove fossero realizzate contestualmente darebbero comunque luogo ad una pluralità di reati; due condotte, eventualmente e non necessariamente collegate (ad esempio, il minore potrebbe al limite essere consenziente e, sopra i 14 anni, esprimere anche un consenso valido e ciò nonostante dar luogo al reato di induzione o di sfruttamento o di favoreggiamento della prostituzione rispondendo ex art. 600 bis C.P.).
Il legislatore ha posto tanta attenzione alla repressione dell’odioso fenomeno da escludere che le condotte sanzionate fossero considerate circostanze aggravanti, facendole assurgere a reati autonomi.

La legge n. 269/1998 e la pedofilia telematica

1) L’art. 600 ter
Tanto premesso in generale, occorre soffermarsi sulle singole norme della L.n.269/1998 per esaminare le problematiche sottese alla pedofilia telematica: trattasi degli artt..600 ter e 600 quater del cod.pen. introdotti dall’art.3 della menzionata legge.
Dalla lettura dell’art.600 ter si evince che il legislatore ha individuato quattro fattispecie delittuose al fine di catalogare in maniera quanto più tassativa e descrittiva la condotte considerate criminose e come tali sanzionabili; ciò sempre nell’ottica di punire in modo puntuale e capillare i comportamenti lesivi dei diritti dei minori e nello sforzo di non lasciare alcun vuoto normativo di tutela.

2) L’art. 600 ter 1° e 2° comma e lo sfruttamento sessuale dei minori
Le condotte indicate nei primi due commi dell’art.600 ter non attengono propriamente alla pedofilia telematica, in quanto le fattispecie ivi descritte non si concretano precisamente in una mera trasmissione per via telematica: infatti, il primo comma disciplina l’ipotesi dello sfruttamento dei minori ai fini della realizzazione di esibizioni pedopornografiche e della produzione, anche artigianale, di materiale pedopornografico e la giurisprudenza ha tenuto a precisare al riguardo ( Cass. n.13/2000) che tale reato si realizza anche se lo sfruttamento dei minori sia volto alla produzione in sé di materiale pedopornografico, senza un ulteriore fine di lucro, purchè vi sia pericolo concreto di diffusione di detto materiale; il secondo comma prevede l’ipotesi del commercio di materiale pedopornografico, intendendosi più propriamente per commercio una attività commerciale organizzata con riferimento all’impresa commerciale che si distingue dalla semplice cessione di cui al 4° comma, che invece riguarda uno scambio, se pur verso corrispettivo, ma tuttavia a titolo individuale.

L’art. 600 ter, 3° comma: le condotte “diffusive” aventi ad oggetto il materiale pedopornografico

1) L’art. 600 ter, 3° comma
Occorre, invece, esaminare attentamente il 3° e 4° comma dell’art.600 ter, in quanto trattasi delle previsioni normative che suscitano maggiore interesse ai nostri fini.
In particolare, l’art. 600 ter, 3° comma così recita: Chiunque, fuori dalle ipotesi di cui al primo e secondo comma, CON QUALSIASI MEZZO, ANCHE PER VIA TELEMATICA, distribuisce, divulga o pubblicizza il materiale pornografico di cui al primo comma, ovvero distribuisce o divulga notizie o informazioni finalizzate all'adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da lire cinque milioni a lire cento milioni.
Al riguardo si osserva che viene individuata una serie di condotte che si potrebbero qualificare come “diffusive” e che si possono realizzare con qualunque mezzo, anche “per via telematica”; così come anche per il primo e per il secondo comma, trattasi di attività delittuose prodromiche e strumentali rispetto al turpe fenomeno della pedofilia e che vengono, pertanto, a realizzare una forma di tutela penale anticipata.

2) Gli elementi costitutivi del reato
Venendo, ora, all’analisi degli elementi costitutivi del reato, esamineremo la fattispecie di cui all’art. 600 ter 3° comma sotto il profilo, appunto, dell’elemento psicologico, della condotta e dell'evento.
L’elemento psichico che caratterizza il delitto è il dolo, in quanto, non essendo prevista la forma colposa è ovvio che il reato si realizzi soltanto con la forma dolosa ex art. 42 c.p.
Per quanto concerne la condotta, il legislatore ha indicato una pluralità di comportamenti che si potrebbero raggruppare nella categoria generale della “diffusione” avente ad oggetto materiale pedopornografico e notizie ed informazioni finalizzate all’adescamento di minori. Più specificamente, si tratta di esaminare i termini adoperati dal legislatore e di tentare di darne una definizione: distribuire potrebbe equivalere a mettere a disposizione di un numero indefinito ed indefinibile di terzi il materiale pedopornografico; divulgare potrebbe significare rendere noto, rendere pubblico il materiale pedopornografico; infine, per pubblicizzare potrebbe intendersi far sapere che il materiale pornografico è reso noto o messo a disposizione, ossia informare i terzi della possibilità di fruirne, talora anche invitarli a fruirne.
A questo punto dell’indagine giova notare che il reato in esame si pone come un reato di pura condotta, ossia privo di evento in senso naturalistico; ciò vale ad escludere la sussistenza di qualunque forma di responsabilità omissiva in capo all’Internet Provider: infatti, tale reato non può essere considerato un reato omissivo proprio – consistente, come noto, nel mancato compimento di una azione comandata, come si vedrà meglio in seguito in materia di responsabilità dell’Internet Provider – né un reato omissivo improprio, consistente nel mancato impedimento di un evento, che qui, appunto, è assente.

3) Realizzazione della condotta per via telematica
Nel soffermarsi sulla frase“ per via telematica”, si osserva come tale espressione sia pleonastica: a nulla serve, infatti, sottolineare che la condotta può realizzarsi anche per via telematica quando si è già stabilito che la fattispecie può concretarsi con qualunque mezzo, a meno che tale specificazione non sia sorretta dall’esigenza di evidenziare la modalità di realizzazione del reato attraverso la rete in quanto ritenuta particolarmente pericolosa e grave; ciò in profondo contrasto con qualunque logica, non potendosi asserire che il mezzo telematico sia più pericoloso di qualunque altro strumento adibito a tali fini criminosi, poichè ciò che rileva come pericoloso non è, appunto, il mezzo in sé, quanto piuttosto l’uso che se ne fa. E’ opportuno, allora, rimettersi all’opera degli interpreti cui è affidato il compito di indicare i confini e i margini di operatività della norma atti ad impedire che si verifichi una qualsivoglia forma di “imbrigliamento” delle potenzialità della rete.

4) Internet providers
In questo contesto, diviene importante rivolgere l’attenzione a coloro che svolgono la loro attività mediante Internet – i cdd. Internet provider- e che pertanto si espongono alla disciplina della legge n.269/1998, ed auspicare che non vengano responsabilizzati eccessivamente per i reati commessi per mezzo della rete a cui danno accesso. Al riguardo, è interessante esaminare la recente pronuncia del Tribunale di Milano n.1993/04 del 25.02.04 in quanto appare un ottimo esempio di interpretazione della norma in esame. Dalla lettura della sentenza si evince che il collegio ha richiamato espressamente l’orientamento della dottrina in tale materia, sposandone le tesi; in particolare, la considerazione secondo la quale gli Internet providers non sono responsabili dei contenuti illeciti che si trovano sui siti dei terzi -e non sono, pertanto, agli stessi imputabili i reati di cui al 3° e 4° dell’art.600 ter e di cui all’art.600 quater - per due ordini di motivi: a) in capo agli stessi non è riconducibile una forma di responsabilità commissiva, a meno che non si siano inseriti con un quid pluris nella divulgazione del messaggio;b) come già anticipato, non si configura una forma di responsabilità omissiva: infatti, non si può parlare di reato omissivo improprio, in quanto non è configurabile in capo agli Internet Providers un obbligo giuridico di impedire un evento, che qui è, come detto, assente, trattandosi, appunto, di reato privo di evento; e neppure può parlarsi di reato omissivo proprio, in quanto non è configurabile in capo agli Internet Providers un obbligo giuridico di compiere una azione comandata, perché si tratterebbe di una azione troppo gravosa per i soggetti stessi; infatti, non è ravvisabile alcuna posizione di garanzia per questi soggetti che altrimenti sarebbero chiamati ad impedire la condotta illecita del content provider ancorché non sia ipotizzabile la possibilità concreta di esercitare un efficace controllo sui messaggi ospitati sul proprio sito dato l’enorme quantità di dati che transita sui servers e la possibilità continua e costante di immissione di nuove comunicazioni anche attraverso collegamenti alternativi proprio per “la struttura aperta di Internet che non rappresenta alcun unitario sistema centralizzato, ma una possibilità di molteplici connessioni fra reti e computers diversi”

5) Il materiale pedopornografico
Procedendo, ora, all’analisi dell’oggetto di dette condotte diffusive, ovvero il materiale pedopornografico, appare interessante tentare di darne una definizione prescindendo da principi vaghi e di difficile catalogazione quali il pudore, l’osceno o il pubblico decoro, e piuttosto collegandosi al concetto di sfruttamento dei minori, appositamente inserito nella norma; ciò al fine di fornire una interpretazione della disposizione normativa che non conduca ad ipotesi di incriminazione assurde quale quella scolastica del padre che mette sul sito delle foto di famiglia quella della propria figlioletta nuda al mare, ma che consenta piuttosto di punire coloro che esercitano lo sfruttamento sui minori al fine di farli prostituire, o di realizzare esibizioni di carattere osceno o di commercializzarle. L'elemento di “sfruttamento” in tutti questi casi è imprescindibile ed è su di esso che è concentrato tutto il disvalore della norma.

L’art.600 ter, 4° comma: cessione di materiale pedopornografico

1) L’art. 600 ter, 4° comma e gli elementi costitutivi del reato
L’art. 600 ter, 4° comma, così recita: Chiunque, al dì fuori delle ipotesi di cui ai commi primo, secondo e terzo, CONSAPEVOLMENTE cede ad altri, ANCHE A TITOLO GRATUITO, materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione fino a tre anni o con la multa da lire tre milioni a lire dieci milioni».
Nell’esaminare tale norma sotto il profilo psicologico, si nota che anche qui non è prevista la forma colposa e residua necessariamente quella dolosa; pertanto, quell’avverbio “consapevolmente” deve necessariamente riferirsi non alla condotta in sé, in quanto è implicito che debba essere consapevole, quanto piuttosto al materiale pedopornografico: ciò significa che l’autore del reato deve essere a conoscenza del contenuto del materiale oggetto della cessione, non essendo, pertanto, configurabile tale reato tutte quelle volte che l’imputato riesca a dimostrare di non aver avuto conoscenza, e quindi consapevolezza, del contenuto del materiale da lui ceduto a terzi.
Per quanto attiene alla condotta, per cessione si intende qualunque transazione, anche a titolo gratuito, verso terzi a titolo individuale, e per la differenza con il commercio si rimanda a quanto già detto.
Come la fattispecie sopra esaminata anche tale reato in esame è un reato di pura condotta, ossia privo di evento in senso naturalistico, ed anche qui, pertanto, non è configurabile la responsabilità omissiva in capo all’Internet Provider, con tutte le conseguenze sopra delineate.

2) Regimi giuridici del 3° e del 4° comma e criteri idonei a distinguere le due fattispecie

Dopo aver esaminato separatamente le due fattispecie di cui al 3° e 4° comma dell’art.600 ter, si ritiene opportuno segnalare i differenti regimi sanciti per l’una e per l’altra:in particolare, la sanzione della reclusione da 1 a 5 anni predisposta per l’ipotesi di cui al 3° comma consente di applicare la misura cautelare all’autore del reato ma questa misura è inapplicabile per l’ipotesi di cui al 4° comma a ragione della sanzione della reclusione fino a tre anni. Inoltre, per il reato di cui al 3° comma può farsi ricorso all’attività di contrasto di cui all’art.14 della L. n.269/1998 che non può essere, però, intrapresa nel corso delle indagini necessarie per accettare la sussistenza del reato di cui al 4° comma .
Ne consegue, ovviamente, l’importanza di individuare dei criteri atti a distinguere le due fattispecie, dipanando ogni dubbio interpretativo al riguardo.
A tal fine si fa riferimento a quanto asserito dalla giurisprudenza, ed in particolare ci si sofferma sulla recente pronuncia della Corte di Cassazione ( Cass.del 3.2.2003, n.4900) con la quale sono stati fissati, appunto, i confini dell’una e dell’altra ipotesi delittuosa e si è stabilito con chiarezza quando la trasmissione telematica di materiale pedopornografico rientra nelle condotte che si potrebbero definire diffusive di cui al 3° comma, e quando rientra nella cessione di cui al 4° comma.
Giova ripetere che chiarire in via definitiva se si debba applicare il 3° o il 4° comma risulta determinante per due ordini di motivi: 1) solo quando la fattispecie concreta è da ricondursi a quella prevista dal 3° comma è consentita l’adozione della misura cautelare; 2) solo quando il caso di specie ricalca la fattispecie di cui al 3° comma può svolgersi l’attività di contrasto di cui all’art 14 della L.n.269/1998. Procedendo, pertanto, all’analisi della decisione giurisprudenziale sopra citata, è interessante osservare come l’organo giudicante si sia posto il problema di esaminare le norme in questione ben consapevole delle considerevoli conseguenze che discendono dall’applicazione dell’una o dell’altra norma alla fattispecie concreta e che proprio in tale prospettiva ha individuato la caratteristica precipua della ipotesi delittuosa di cui al 3° comma nella indeterminatezza dei soggetti destinatari della trasmissione telematica di materiale pedopornografico, indicando in modo preciso e compiuto quando questa circostanza ricorra. Ha così fornito agli operatori del settore ed agli interpreti della materia un criterio sicuro cui attenersi per distinguere in maniera netta le due fattispecie criminose.
Nella sentenza la Corte si è trovata ad affrontare un caso di trasmissione di un “file” contenente materiale pedopornografico mediante chat line ed ha evidenziato che tale condotta si può ricondurre all’ipotesi delittuosa di cui al 3° comma solo se i destinatari sono un numero indeterminato: più precisamente ha stabilito che affinchè tale circostanza ricorra occorre che l’agente inserisca le foto pornografiche minorili in un sito accessibile a tutti, o le invii ad un gruppo o ad una lista di discussione– da cui quindi chiunque le possa scaricare –o le trasmetta ad indirizzi anche di persone determinate ma tuttavia in successione, realizzando cioè una serie di conversazioni private con diverse persone, cosicché i destinatari siano, comunque, potenzialmente un numero illimitato di soggetti. (V. anche Cass. del 14.7.2000 Sez. IIIm.216.880 e Cass. Sez. III del 13.6.2000 m.2117.2114). Ne consegue ovviamente che non ricorre tale circostanza quando l’agente inserisca le foto pornografiche minorili in un sito confinato in un dialogo privilegiato, e che, pertanto, non si configura il reato di cui al 3° comma, ma piuttosto il reato di cui al 4° comma che disciplina l’ipotesi più lieve della cessione.
Quanto fin qui detto sta a significare che nel caso dell’invio di file contenente materiale pedopornografico tramite chat line il 3° comma è applicabile solo quando il programma consenta a chiunque si colleghi di condividere cartelle, archivi e documenti contenenti le foto pornografiche minorili, in modo che chiunque possa accedervi e possa prelevare le foto senza formalità rivelatrici di una sua volontà specifica e positiva. Laddove, invece, il prelievo avvenga solo a seguito della manifestazione della volontà dichiarata nel corso di una conversazione privata, si versa nell’ipotesi più lieve della cessione di cui al 4° comma.
Tale orientamento costituisce il superamento definitivo delle posizioni interpretative precedentemente assunte dagli organi giudicanti (Cass. n.1762/2000), che attribuivano al 3° comma dell’art. 600 ter un’area di punibilità troppo ampia; si riteneva, infatti, che, ai fini dell’applicabilità della disposizione normativa di cui al 3° comma dell’art. 600 ter, fosse sufficiente la sussistenza di una qualsivoglia divulgazione traverso la chat, anche a prescindere dalla verifica dell’accessibilità da parte di soggetti indeterminati, e cioè senza avere contezza della possibilità che i destinatari della trasmissione telematica di materiale pedopornografico fossero in numero illimitato.
Tale evoluzione merita di essere sottolineata in quanto, approfondendo i confini della sfera di operabilità della norma in esame, approda ad una interpretazione più rispondente alla “ratio” della legge circoscrivendo la disciplina più rigorosa del 3° comma solo alle ipotesi per le quali ricorre quel carattere diffusivo che merita effettivamente un trattamento particolarmente severo.
Nel proseguire ad analizzare le pronunce giurisprudenziali che hanno fissato i principi interpretativi in materia, ci si sofferma sulla decisione (Cass. n.5397/2002) nella quale la Suprema Corte afferma che in caso di invio ad un singolo indirizzo di foto pedopornografica allegata ad un messaggio di posta elettronica, si versa nell’ipotesi più lieve della cessione di cui al 4° comma; in essa si sostiene che, invece, l’invio della stessa foto ad una pluralità di persone in diverse conversazioni private – in quanto la foto è stata ceduta in un canale aperto a tutti gli utenti in modo che qualunque utente si fosse trovato nel canale abbia avuto la possibilità di prelevarla – realizza l’ipotesi più grave di cui al 3° comma. Al riguardo, la Corte prosegue specificando che si rientra nella fattispecie con il regime giuridico più severo anche quando per la cessione della foto si utilizzi un programma che permetta a chi lo adoperi, e sia collegato in quel momento e in quella particolare rete, la condivisione di cartelle, archivi e documenti. Ancora, la Corte afferma che è configurabile una condotta cd. divulgativa quando l’agente mette a disposizione – attraverso un programma – parte del suo disco rigido o di altra memoria di massa dove sono contenute le foto pornografiche minorili in modo che chiunque possa accedere alle cartelle condivise e prelevare direttamente le foto.
Conclusivamente, ciò che rileva ai fini della punibilità ex art. 600 ter 3° comma è la verificabilità di un indiscriminato accesso al disco rigido, di guisa che deve ritenersi esclusa l’applicabilità del 3° comma dell’art.600 ter, ogni qualvolta sia stao installato un software idoneo a controllare l’accesso alle proprie porte.
Si è visto come il criterio della “indeterminatezza” dei destinatari si ponga come il criterio atto a porre una linea di confine netta tra l’ipotesi di cui al 3° comma e quella di cui al 4° comma.
In quest’ottica, appare interessante la considerazione svolta dalla Suprema Corte nella citata sentenza n.4900/2003 a proposito del cd. nickname; al riguardo la Corte ha correttamente sottolineato che giammai si può presumere che dietro un solo nickname si celino più soggetti, e ciò per due ordini di motivi:in primo luogo in quanto ovviamente l’onere probatorio di dimostrare che i destinatari sono un numero indeterminato non sarebbe assolto da parte dell’accusa invocando l’eventualità che dietro il nickname si nascondano più soggetti; in secondo luogo, perchè altrimenti anche il caso dell’invio di una foto pedopornografica allegata ad un messaggio di posta elettronica ad un indirizzo determinato, in quanto potenzialmente riferibile ad una pluralità di persone, sarebbe riconducibile all’ipotesi delittuosa di cui al 3° comma, e ciò in contrasto con quanto sopra esposto.

L’art. 600 quater: la detenzione di materiale pedopornografico

1) L’art. 600 quater
L’art. 600 quater, così recita: «"Detenzione di materiale pornografico". Chiunque, al di fuori delle ipotesi previste dall'art. 600 ter, CONSAPEVOLMENTE si procura o dispone di materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto è punito con la reclusione fino a tre anni o con la multa non inferiore a lire tre milioni».
Anche qui la ratio del legislatore è quella stessa sottesa alle norme sin qui esaminate, ed è quella, appunto, di fornire ai minori una tutela dei loro diritti quanto più ampia, attraverso la repressione di tutte le condotte che possono in qualche modo impedire o alterare il normale sviluppo sessuale, psico-fisico, morale e spirituale dei minori stessi. Proprio in quest’ottica, si sente l’esigenza di punire anche colui che detiene materiale pedopornografico, e ciò in quanto anche il semplice procurarsi detto materiale, per poi disporne personalmente senza divulgarlo o cederlo, contribuisce comunque ad alimentare il mercato di quel materiale ottenuto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori.

2) Gli elementi costitutivi del reato
Nell’esaminare tale norma sotto il profilo psicologico, si richiama quanto già detto per l’art.600 ter; infatti, anche qui la realizzazione è dolosa, per non essere prevista la forma colposa, ed anche qui l’avverbio “consapevolmente” deve necessariamente riferirsi al materiale pedopornografico ed alla sua natura illecita: in altri termini l’agente deve essere a conoscenza del contenuto del materiale in suo possesso, non essendo, pertanto, configurabile tale reato tutte quelle volte che l’imputato riesca a dimostrare di non aver avuto conoscenza, e quindi consapevolezza, del contenuto del materiale da lui detenuto; il che può avvenire, ad es., nel caso in cui venga “scaricato” un file “zippato” – e quindi di non immediata evidenza - senza averne verificato il contenuto.
Per quanto attiene alla condotta della detenzione, il materiale deve entrare nella sfera di disponibilità dell’agente, il quale, peraltro, deve acquisirne il possesso.
Anche la fattispecie in esame è un reato di pura condotta, ossia privo di evento in senso naturalistico, ed anche qui, pertanto, non è configurabile la responsabilità omissiva in capo all’Internet Provider, con tutte le conseguenze già delineate.

3) Configurabilità del reato: non basta la semplice visione, ma occorre il possesso del materiale pedopornografico
La giurisprudenza ha avuto modo di recente di affrontare le problematiche sottese alla norma in esame; infatti, è con sentenza n.1619 del 22.4.2004 che il Tribunale di Brescia ha valutato la contestazione sollevata all’imputato di detenzione sul proprio p.c. di undici immagini di contenuto pedopornografico, ossia afferenti allo sfruttamento sessuale di soggetti minorenni, contenute in un file compresso protetto da password. Il Tribunale sottolinea che “ la norma incriminatrice in oggetto esibisce minor disvalore , e assai più tenue trattamento sanzionatorio, rispetto alle altre figure criminose introdotte dalla L. n.269/1998, atteso che, a differenza di queste, non punisce comportamenti attivi, in quanto positivamente intesi al coinvolgimento di minori in attività di meretricio e pornografia, ma mira alla punizione del consumatore finale di quest’ultima; ciò sull’ovvio presupposto che l’acquisizione, a titolo gratuito od oneroso, di materiale a contenuto pedopornografico contribuisca ad alimentare ed incrementare il relativo mercato, con ciò dispiegando un, seppur indiretto, effetto di consolidamento e allargamento del medesimo.”
La sentenza prosegue mettendo in luce come la norma in esame punisca colui che si procuri e disponga e non già colui che visioni il materiale illecito; ciò significa che il legislatore ha inteso reprimere la condotta non di chi durante la navigazione su Internet entri in contatto con immagini di contenuto pedopornografico, ma di chi se ne appropri e le scarichi sul proprio computer, salvandole sul disco fisso del p.c. Nel caso di specie, si è rilevato che il file contestato poteva effettivamente essere stato scaricato scambiandolo per un aggiornamento ad un gioco utilizzato dall’imputato, e che il file poteva essere aperto solo previo utilizzo di password; a tal riguardo,si è sottolineato che non vi era alcuna certezza che il software per la decriptazione delle password presente sul p.c. dell’imputato potesse essere usato per file in formato zip, come quello in questione. Infine,si è constatato che l’imputato non aveva salvato le immagini sul proprio p.c., giacchè delle immagini stesse non c’era traccia alcuna né nella cartella “file recenti” né nella cartella “file temporanei”.Il giudice concludeva, dunque, assolvendo l’imputato poichè non era stato dimostrato che questi avesse consapevolmente scaricato da Internet il materiale pedopornografico.

4) Attività di contrasto ex art. 14 L.n.269/1998 e detenzione
Circa l’attività di contrasto di cui all’art. 14 della L. n.269/1998 valgono qui le stesse osservazioni mosse alla fattispecie delittuosa di cui all’art. 600 ter 4° comma: infatti, la Corte di Cassazione con sentenza n. 1139 del 5.10.2004 ha affermato il principio dell’inutilizzabilità dell’attività di contrasto per la repressione del delitto di detenzione di materiale pedopornografico. In particolare, ha annullato l’ordinanza con cui il Tribunale di Imperia aveva rigettato l’istanza di riesame del decreto di perquisizione e di sequestro probatorio di apparecchiature informatiche emesso nel corso dell’attività di contrasto sulla base dell’accertamento degli estremi del reato di detenzione di cui all’art.600 quater del cod. pen., ma non del fumus del reato più grave di cui all’art. 600 ter 3° comma, per il quale esclusivamente è prevista l’attività di contrasto.

L’art.14 della legge n.269/1998: l’attività di contrasto

1) L’art. 14 della legge n. 269/1998
Si è già accennato all’attività di contrasto di cui all’art.14 della L. n.269/1998 allorchè sono state segnalate le differenze tra la disciplina stabilita per la fattispecie di cui al 3° e quella stabilita per la fattispecie di cui al 4° comma dell’art.600 ter .
Ora è opportuno soffermarsi su tale norma più approfonditamente, per vedere come essa si collochi nel contesto normativo fin qui delineato, e per individuare la disciplina delle investigazioni relative alla figure criminose già esaminate.
L’art. 14, così recita: “Nell’ambito delle operazioni disposte dal questore o dal responsabile di livello almeno provinciale dell’organismo di appartenenza, gli ufficiali di polizia giudiziaria delle strutture specializzate per le repressione dei delitti sessuali o per la tutela dei minori, ovvero di quelle istituite per il contrasto dei delitti di criminalità organizzata, possono, previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria, al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai delitti di cui agli articoli 600-bis, primo comma, 600-ter, secondo e terzo, e 600-quinquies del codice penale introdotti dalla presente legge, procedere all’acquisto simulato di materiale pornografico e alle relative attività di intermediazione, nonché partecipare alle iniziative turistiche di cui all’art.5 della presente legge. Dell’acquisto è data immediata comunicazione all’autorità giudiziaria che può, con decreto motivato, differire il sequestro sino alla conclusione delle indagini.
Nell’ambito dei compiti di polizia delle telecomunicazioni, definiti con il decreto di cui all’articolo 1, comma 15, della legge 31 luglio 1997, n.249, l’organo del Ministero dell’interno per la sicurezza e la regolarità dei servizi di telecomunicazione svolge, su richiesta dell’autorità giudiziaria, motivata a pena di nullità, le attività occorrenti per il contrasto dei delitti di cui agli articoli 600-bis, primo comma, 600-ter, secondo e terzo, e 600-quinquies del codice penale commessi mediante l’impiego di sistemi informatici o mezzi di comunicazione telematica ovvero utilizzando reti di telecomunicazione disponibili al pubblico. A tal fine, il personale addetto può utilizzare indicazioni di copertura, anche per attivare siti nelle reti, realizzare o gestire aree di comunicazione o scambio su reti o sistemi telematici, ovvero per partecipare ad esse. Il predetto personale specializzato effettua con le medesime finalità le attività di cui al comma1 anche per via telematica.
L’autorità giudiziaria può, con decreto motivato, ritardare l’emissione o disporre che sia ritardata l’esecuzione dei provvedimenti di cattura, arresto o sequestro, quando sia necessario per acquisire rilevanti elementi probatori, ovvero per l’individuazione o la cattura dei responsabili dei delitti di cui agli articoli 600-bis, primo comma, 600-ter, secondo e terzo, e 600-quinquies del codice penale.Quando è identificata o identificabile la persona offesa dal reato, il provvedimento è adottato sentito il procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni nella cui circoscrizione il minorenne abitualmente dimora.
L’autorità giudiziaria può affidare il materiale o i beni sequestrati in applicazione della presente legge, in custodia giudiziale con facoltà d’uso, agli organi di polizia giudiziaria che ne facciano richiesta per l’impiego nelle attività di contrasto di cui al presente articolo”.
Dalla lettura della norma emerge con chiarezza che la ratio del legislatore è quella di limitare quanto più la diffusione dei crimini di pedofilia attraverso il meccanismo di indagini, che per la delicatezza della materia in questione, richiedono una disciplina specifica nella previsione di cui all’art.14.

2) Due tipologie di attività di contrasto: in particolare, il 2° comma dell’art.14 e la Polizia Postale e delle Comunicazioni
È di immediata evidenza che il primo e il secondo comma disciplinano due differenti attività di contrasto che, comunque, trovano il loro denominatore comune nella circostanza che entrambe introducono la figura dell’agente provocatore, la cui punibilità è esclusa dalla scriminante dell’adempimento del dovere di cui all’art.51 c.p. e nella norma dell’art 55 c.p.p..
Ai nostri fini, interessa soffermarsi sul secondo comma, che prevede quale requisito minimo per l’attività di contrasto, che la condotta sia realizzata con l’impiego di sistemi informatici. Proprio a causa di detto elemento indefettibile, il legislatore ha statuito che le indagini vengano svolte dalla Polizia Postale e delle Comunicazioni che, si presuppone, abbia le competenze specifiche nonché le strumentazioni tecnologiche occorrenti allo scopo e che potrà agire solo su richiesta motivata, a pena di nullità, dell’autorità giudiziaria. Le attività che tale organo può svolgere sono variegate, e comprendono tutte le attività di cui al primo comma, nonché quelle di copertura, dei cdd. siti civetta: qui si nota come sia piuttosto ampia l’area penalmente rilevante sottratta alla punibilità, in quanto l’agente potrà effettuare non solo l’acquisto del materiale pedopornografico, ma anche lo scambio che implica, pertanto, la cessione.

3) Assenza della richiesta motivata dell’autorità giudiziaria: sanzione della nullità
Inoltre, merita la nostra attenzione la previsione della nullità che viene comminata ove le indagini si svolgano senza la richiesta motivata dell’autorità giudiziaria, e ciò in ossequio al principio costituzionale della libertà e segretezza delle comunicazioni sancito dall’art. 15 Cost., che può subire una sua limitazione solo se a monte vi sia, appunto, un atto dell’autorità giudiziaria esplicitamente motivato. Dalla nullità delle indagini, discende l’inutilizzabilità di tutti gli elementi di prova acquisiti illegittimamente, ex art.119 c.p.p.. Dubbi sorgono circa le caratteristiche che deve rivestire l’atto di richiesta motivata; ci si chiede, ad es., se l’efficacia spiegata dalla richiesta abbia durata determinata o indeterminata, o ancora che valenza abbia un atto di richiesta non motivata.

4) Alcune condotte dell’agente provocatore e inammissibilità dell’attività di contrasto
Una riflessione merita anche la circostanza che le indagini sono ammissibili solo per i reati di cui agli articoli 600-bis, primo comma, 600-ter, secondo e terzo, e 600-quinquies del codice penale e che, pertanto, non dovrebbero essere ammissibili per le due seguenti ipotesi che si riconducono, rispettivamente, all’attività volta ad individuare rispettivamente la detenzione di materiale pedopornografico di cui al all’art.600 quater, e la cessione dello stesso materiale illecito di cui al 4° comma dell’art.600 ter: 1) l’agente provocatore predispone un sito internet “civetta” al fine di individuare chiunque scarichi dal sito files pedopornografici; 2) l’agente provocatore scambia files pedopornografici nell’ambito di chat lines con un numero determinato di persone.
A conclusione di quanto fin qui osservato sulla normativa dell’attività di contrasto si deve evidenziare che in presenza di elementi di prova inutilizzabili – in quanto raccolti in violazione dei dettami della norma in questione – il P.M. si vedrà costretto a procedere alla richiesta di archiviazione ex art.125 disp.att. c.p.p.., e che in alcun modo, sulla base degli elementi stessi, potrà ravvisarsi il fumus boni juris occorrente per l’applicazione delle misure cautelari.

Nuovi scenari normativi

1) Il disegno di legge del 7.11.2003
In relazione al quadro normativo volto a regolamentare la materia oggetto di questa trattazione, non si può non accennare al recente disegno-legge in data 7.11.2003 in quanto rappresentativo delle istanze maggiormente sentite a livello sociale. In esso particolare considerazione è stata riservata alla commissione degli illeciti tramite l’utilizzo della rete Internet, e con deciso rigore sanzionatorio si vuole colpire siffatte condotte criminose. In quest’ottica va letta la scelta di sostituire l’irrogazione alternativa con quella congiunta della pena detentiva e di quella pecuniaria.

2) Le novità del disegno legge de quo
Inoltre, si introducono modifiche dirette a reprimere drasticamente il fenomeno in questione sino, però, a prevedere fattispecie che restano in bilico tra la realtà e la fantasia, e che, a parere di chi scrive, non aggiungono nulla in termini di tutela reale dei diritti dei minori. Nell’esaminare le novità del disegno-legge , si parte dall’analisi di quelle norme che sembrano essere le più “sensate”: 1) la lettera b) dell’art.1 introduce “la diffusione” tra le condotte divulgative di cui all’art.600 ter 3° comma, al fine di colmare ogni eventuale lacuna normativa, ed al fine di dipanare qualsivoglia dubbio interpretativo circa la natura e la tipologia della condotte delittuose;2) la lett. c) dell’art.1 inserisce, accanto alla cessione, l’offerta – anche a titolo gratuito –del materiale pedopornografico, onde evitare ogni possibile vuoto di tutela; 3) l’art.2 sostituisce l’art.600 quater, riformulando la norma sotto il profilo sanzionatorio nei termini sopra indicati.
Accanto a tali disposizioni, il testo del disegno legge prevede una serie di previsioni di difficile applicazione, che occorre, ora, passare in rassegna: si tratta degli articoli 600 quater 1 e 600 quater 2 introdotti dall’art.3 del disegno di legge, mediante il quale si viene ad operare un’estensione della portata incriminatrice delle fattispecie di cui agli articoli 600 ter e 600 quater del c.p. alle ipotesi in cui il materiale pornografico sia stato prodotto utilizzando persone che, per le loro caratteristiche fisiche - soggetti efebici o di aspetto adolescenziale, o persone affette da nanismo – hanno le sembianze di minori degli anni 18: si tratta, ovviamente, di minori in realtà inesistenti.
Di fronte a tali disposizioni normative, pur apprezzando lo sforzo di ampliare quanto più i confini della tutela di valori così fondamentali quali il libero sviluppo psico-fisico, morale e sessuale dei minori, sorgono tuttavia seri dubbi circa la portata di siffatte norme agli effetti della tutela penale per la quale sono predisposte. Infatti, anche a voler trascurare la difficoltà nella identificazione della categoria dei soggetti sopra indicati, ciò che maggiormente colpisce è l’inutilità di una serie di previsioni che non riescono a potenziare realmente gli strumenti di difesa approntati per i minori, in quanto non vengono, purtroppo, a centrare il bene giuridico finale della tutela in questione: se, infatti, la ratio di tali norme è quella di predisporre una linea repressiva di tutte le condotte lesive dei diritti principali dei minori – la libertà sessuale, il libero sviluppo fisico, psicologico, spirituale, morale e sociale – non si vede come tale obiettivo primario possa essere raggiunto incriminando comportamenti lesivi di beni giuridici afferenti a soggetti diversi dai minori stessi. Le medesime osservazioni vanno mosse all’art.15 che estende alle nuove fattispecie di reato di cui agli articoli 600 quater 1 e 600 quater 2 la possibilità di ricorrere all’attività di contrasto previste dall’art.14 della legge n.269/1998. Infine, l’art. 19 del disegno di legge introduce dopo l’art.14della summenzionata legge, quattro nuovi articoli – dal 14 bis al 14 quinquies – attraverso i quali è prevista la creazione di un Centro nazionale con compiti specifici di prevenzione dei crimini in esame, e che pongono in capo ai provider una serie di obblighi gravosi al punto di minare la conduzione serena della propria attività.

Conclusioni

A conclusione di quanto fin qui detto, si vuole concentrare l’attenzione di chi legge sull’importanza del ruolo degli interpreti e della loro opera in una materia così delicata, nella quale si fronteggiano costantemente due esigenze entrambe legittime e per le quali è fondamentale trovare una posizione di equilibrio, senza che il perseguimento dell’una impedisca il soddisfacimento dell’altra: se, infatti, da un lato è doveroso, lodevole e degno di ogni rispetto il tentativo di difendere i minori e i loro diritti da qualsivoglia comportamento lesivo, dall’altro non bisogna dimenticare le notevoli possibilità che si sono sviluppate grazie all’espandersi delle nuove tecnologie; ciò significa che la predisposizione di qualunque mezzo di tutela dei minori e del loro sviluppo sessuale, psicologico, fisico, morale, sociale e spirituale è certamente un obiettivo primario che, però, non si raggiunge ponendo una serie di regole che si concretano in censure all’utilizzo ed allo sviluppo di Internet, in quanto la rete non è intrinsecamente colpevole non essendo, ovviamente, altro che un mezzo attraverso il quale il reo, personalmente responsabile, agisce.
Ad avviso di chi scrive, la via da seguire per disincentivare il ricorso a tali turpi comportamenti è data dalla previsione di sanzioni quanto più aspre, affiancate da una comunicazione diretta tra le forze dell’ordine e gli utenti della rete e da una corretta applicazione delle norme al caso concreto per la quale, ovviamente, si auspica una intelligente opera degli interpreti.

Inserito il 10/05/2005 | Cybercrimes


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