C.A.D.: un passo avanti (forse troppo)
di Marco Scialdone
Il Consiglio dei Ministri, nella seduta del 17 marzo u.s., ha approvato il testo del decreto legislativo recante modifiche ed integrazioni al Codice dell’Amministrazione Digitale (D.lgs 82/2005, nel seguito anche CAD), entrato in vigore il 1 gennaio 2006.
Lungi dal volere operare una completa disamina del provvedimento, in questo primo commento “a caldo” vorrei soffermarmi su un aspetto che ritengo di particolare interesse, su cui il decreto correttivo ha inciso in maniera significativa: la capacità satisfattiva del requisito della forma scritta da parte di documenti informatici sprovvisti di firma digitale o di altro tipo di firma elettronica qualificata.
Si ricorderà come, nella sua originaria versione, il CAD prevedeva che il solo documento informatico sottoscritto con firma elettronica qualificata o con firma digitale fosse in grado di soddisfare il requisito legale della forma scritta, mentre analoga idoneità era preclusa al documento informatico cui fosse apposta una firma elettronica semplice.
Ne derivava quel paradosso giuridico per cui ci si trovava in presenza di un documento cui pur essendo stata validamente apposta una firma (o quanto meno pur essendo stata compiuta rispetto ad esso un’attività che lo stesso Legislatore qualificava con il nomen iuris di “firma”) si considerava come non firmato (1).
Su questo aspetto netta era l’inversione di tendenza rispetto a quanto previsto nel T.U. 445/2000, come modificato dal D.lgs 10/2002, che attribuiva al documento informatico sottoscritto con firma elettronica semplice la capacità di soddisfare il requisito legale della forma scritta, restando, in termini probatori, liberamente valutabile dal giudice, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità e sicurezza.
L’impostazione del Codice dell’Amministrazione Digitale, pertanto, aveva destato non poche perplessità (2), soprattutto per le negative conseguenze che avrebbe potuto produrre nel mondo del commercio elettronico, dove il ricorso alla firma elettronica semplice era assai più diffuso rispetto all’impiego della firma digitale.
Del resto la direttiva 1999/93/CE, in forza della quale la prima aveva trovato ospitalità nel nostro ordinamento, perseguiva, per l’appunto, l’intento di intensificare e promuovere il progresso del commercio elettronico semplificando le procedure relative alla sottoscrizione dei documenti informatici .
Con il decreto correttivo del 17 marzo u.s., il Legislatore ha nuovamente modificato l’assetto normativo, inserendo all’articolo 20 del Codice un comma 1-bis che così recita: “L’idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta è liberamente valutabile in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità, fermo restando quanto disposto dal comma 2”.
Il comma 2 dell’articolo 20, anch’esso parzialmente modificato, stabilisce che “Il documento informatico sottoscritto con firma elettronica qualificata o con firma digitale, formato nel rispetto delle regole tecniche stabilite ai sensi dell’articolo 71, che garantiscano l’identificabilità dell’autore, l’integrità e l’immodificabilità del documento, si presume riconducibile al titolare del dispositivo di firma ai sensi dell’articolo 21, comma 2, e soddisfa comunque il requisito della forma scritta, anche nei casi previsti, sotto pena di nullità, dall’articolo 1350, numeri da 1 a 12 del codice civile”.
Passando all’analisi della prima delle due disposizioni appare evidente come l’intento del legislatore sia stato quello di ampliare il novero dei documenti informatici in grado di soddisfare il requisito della forma scritta, un intento ampiamente condivisibile, anche al fine di salvaguardare le prassi riscontrabili nella contrattazione online dettate da esigenze di rapidità e celerità e che, come detto, non sono incentrate sull’utilizzo delle firma digitale.
Tuttavia, a parere di scrive, il citato comma 1-bis finisce, almeno potenzialmente, per allargare un po’ troppo il novero dei documenti informatici idonei a soddisfare il requisito della forma scritta.
E’ singolare, infatti, che nella disposizione da ultimo richiamata, il legislatore abbia omesso di far riferimento ad alcun tipo di sottoscrizione elettronica di cui gli stessi dovrebbero essere dotati per raggiungere una simile finalità: si potrebbe, dunque, immaginare, in astratto, un documento informatico “non firmato” che sia reputato dal giudice in grado di soddisfare il requisito della forma scritta in ragione delle sue oggettive caratteristiche di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità.
Per converso, potrebbe ben accadere il contrario, ovverosia che un documento informatico cui sia stata apposta una firma elettronica semplice non sia reputato in grado di assolvere a quell’obbligo imposto per “gli atti che devono farsi per iscritto” (per riprendere la terminologia utilizzata nella rubrica dell’art. 1350 c.c.) .
Sembra, dunque, che, con riferimento al documento informatico (ed in difformità rispetto al documento cartaceo), si vada oltre l’originaria previsione dell’articolo 1350 c.c. consentendo, di fatto al giudice, di decidere, sia pur sulla base di caratteristiche oggettive del documento (normativamente indicate), se lo stesso sia in grado o meno di soddisfare il requisito della forma scritta.
E tuttavia, a mio modesto avviso, una simile impostazione finisce per essere contraria alla stessa ratio insita nella prescrizione formale quale elemento costitutivo del contratto. Riporto qui di seguito le parole di autorevole dottrina (3) secondo la quale predetta prescrizione “risponde principalmente all’esigenza delle responsabilizzazione del consenso. Questa esigenza si rileva particolarmente in relazione all’onere dell’atto pubblico, che impone alla parte di dichiarare il proprio consenso ad un pubblico ufficiale. Seppure in misura minore anche l’onere della scrittura privata vale a richiamare l’attenzione della parte sulla dichiarazione fatta propria mediante la sottoscrizione. Occorre comunque tenere presente che la considerazione degli interessi perseguiti generalmente dalla norma impositrice di un onere formale non può dispensarne l’applicazione nelle singole fattispecie. Il contratto privo della forma necessaria deve considerarsi nullo anche se le parti avessero espresso un consenso consapevole e certo. D’altro canto, una volta che l’onere formale è assolto, il contratto è validamente stipulato anche se di fatto la parte non abbia prestato attenzione alla dichiarazione sottoscritta o il documento sia andato distrutto”.
Ora è pacifico che la sottoscrizione non debba necessariamente essere apposta con una penna ma possa essere rappresentata da "altri segni che egualmente comprovano l'identità della persona e la sua volontà di far propria una dichiarazione" (4) in particolare, sfruttando le prestazioni di cui è suscettibile un computer, ad esempio adottando “opportuni sistemi per l’identificazione personale del soggetto da cui proviene la dichiarazione” (5). Tuttavia una qualche forma di sottoscrizione dovrebbe pur sempre essere richiesta, proprio per quella funzione di responsabilizzazione del consenso cui sopra si faceva cenno e che è rinvenibile tanto laddove il soggetto apponga la sua firma autografa al documento cartaceo, tanto laddove l’autografia sia sostituita da procedure informatiche intese a far risultare l’identità del dichiarante e la sua volontà di rispondere della dichiarazione medesima.
Se, dunque, è da salutare con vivo apprezzamento, il ravvedimento del legislatore che ha ridato asilo giuridico a documenti sprovvisti di firma digitale ma non per questo da considerarsi, tout court, inidonei a soddisfare il requisito legale della forma scritta, dall’altro appare addirittura eccessiva la soluzione adottata, dove, sempre ai fini di valutare la medesima capacità satisfattiva, scompare qualsivoglia riferimento a diverse tipologie di sottoscrizione elettronica, che avrebbe comunque potuto e dovuto essere mantenuta.
Note
(1) Sul punto mi permetto di rinviare ad un mio articolo dal titolo “Quella firma che non firma (brevi considerazioni sulla firma elettronica ai tempi del Codice dell’Amministrazione Digitale”, in Rivista di Diritto, Economia e Gestione delle Nuove Tecnologie, n. 3 Luglio – Agosto 2005, Nyberg Edizioni, pag. 595 e ss.
(2) cfr. Lisi A., Grazie al Nuovo Codice delle Amministrazioni Digitali rischiano di essere illegittimi tutti i siti web di commercio elettronico, http://www.scint.it/appr_new.php?id=150
(3) Bianca C.M., Il Contratto, Milano 1995, pag. 284
(4) Borruso R., Computer e Diritto, tomo secondo, Problemi giuridici dell’informatica, Milano 1988, pag. 235
(5) Borruso R., op. cit., pag. 236
Inserito il 23/03/2006 | Firme elettroniche