Crimini informatici ed esigenze di riforma
di Leo Stilo (direttore della rivista giuridica, Il Nuovo Diritto)
Il crimine accompagna l'uomo lungo tutta la sua storia evolutiva adattandosi, nelle forme e nei contenuti, alla mutevole realtà sociale ed ambientale.
La rivoluzione digitale rappresenta un fertile terreno di coltura dove le nuove espressioni del crimine hanno conquistato, con estrema decisione, una nicchia biologica in cui riuscire a sopravvivere e proliferare. Di questa complessa e mutevole realtà si è discusso con rigore logico e dinamicità scientifica al convegno “Computer crimes e acquisizione della prova digitale nel processo penale”, organizzato dal dott. Gabriele Bonadio (direttore Osservatorio CSIG di Pisa) svoltosi il 10 giugno 2005 nell’Università di Pisa “La Sapienza”.
Gli interventi della giornata, presieduti e coordinati dall’avv. Massimo Melica (presidente del CSIG), hanno messo in luce tre problematiche di fondo:
1. l’improcrastinabile verifica della tenuta dell’attuale sistema “diritto penale dell’informatica” alla luce dell’esperienza pratica degli ultimi anni;
2. la necessaria elaborazione di regole comuni nella ricerca e nella gestione della prova informatica;
3. una maggiore considerazione degli aspetti criminologici e psicologici in sede di approccio al crimine informatico nella fase preventiva e in quella repressiva.
Tutti i temi indicati, grazie ad una discreta ed attenta regia, sono stati trattati in modo trasversale e con sfumature diverse dai relatori che hanno appassionato e coinvolto il numeroso pubblico presente creando un clima di interesse e di tensione mai venuto meno sino alla fine dell’evento.
Il primo argomento su cui soffermarsi è, quindi, quello relativo al necessario ripensamento, ad oltre dieci anni di distanza, delle figure di reato introdotte dalla Legge n. 547 del 1993. Dall’entrata in vigore di quest’ultima, infatti, come ha ben evidenziato l’avv. Gianluca Pomante, molte cose sono cambiate nel mondo dell’informatica e nel modo di utilizzo quotidiano della stessa tanto da mettere in crisi la consistenza semantica degli elementi utilizzati dal legislatore per comporre le varie fattispecie penali. Partendo da una diversa prospettiva tematica, anche il prof. Tullio Padovani giunge ad affermare l’inadeguatezza dei classici approcci speculativi con cui si affronta la materia in questione e il necessario ripensamento di alcune categorie e ripartizioni del “reato informatico”.
Gli interventi del dott. Gerardo Costabile, Guardia di Finanza di Milano, e dell’avv. Antonio Gammarota, pongono in evidenza la necessità di disporre, da parte dell’accusa e della difesa, di protocolli operativi certi ed omogenei nell’ambito della cristallizzazione delle prove digitali, in fondo le uniche protagoniste di un processo penale che dovrebbe ruotare attorno all’acquisizione della prova in contraddittorio tra le parti. Sempre in tema di prove informatiche, l’avv. Bruno Fiammella affronta la spinosa questione relativa agli aspetti giuridici della conservazione e dell’utilizzo dei file di log, riuscendo a rappresentare su un’ipotetica scacchiera i conflitti normativi e i relativi bilanciamenti di interessi che si possono concretizzare in tali circostanze. Il terzo filone d’indagine, aggredito nel convegno, è quello relativo ai reati che hanno ad oggetto lo sfruttamento di minori per la realizzazione di materiale pedopornografico.
Il dramma dei fanciulli sessualmente sfruttati non appare, alla luce dei contributi offerti dai relatori, relegato in una rappresentazione di inumane deviazioni appartenenti solo ad alcuni soggetti di una “tribù” lontana dalla vita reale.
Il fenomeno on-line, purtroppo, non è altro che l’alter ego virtuale di terribili fenomeni della vita reale. Per questo motivo, l’indagine delle complesse dinamiche psicologiche legate all’interazione tra società e norme penali, da un lato, ed autore del crimine e vittima, dall’altro, appaiono questioni di notevole ed attuale interesse come mettono ben in evidenza il dott. Giorgio Stefano Manzi, Arma dei Carabinieri, con l’intervento dedicato alle indagini sulla rete per i reati di sfruttamento sessuale dei minori, e la Dott.ssa Roberta Buzzone, psicologa e criminologa, attraverso il commento dei risultati ottenuti da alcune ricerche in tema di “Computer Crime Risk Perception”. Nel contesto delle suddette tematiche, infine, di particolare interesse sono i contributi, case study, proposti dal Dott. Leonardo Degl’Innocenti, in tema di pornografia minorile, e dall’avv. Giulia Padovani, in tema di frode informatica.
Per concludere, dal convegno è emersa con chiarezza la difficoltà che il legislatore penale trova nel tentare di tutelare, attraverso un apposito tessuto normativo, i beni giuridici più rilevanti nella moderna società dell’informazione.
L’inadeguatezza del diritto penale dell’informatica pone l’interprete (giudice, avvocato, studioso...) nelle condizioni di poter ricoprire, tra le maglie di fattispecie non ben determinate, un ruolo integrativo del diritto. Tuttavia, anche in quest’epoca caratterizzata da un’incalzante informatizzazione delle attività umane, la fede nei principi sanciti dall’articolo 25 Cost. (“Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”) e dall’art. 27 Cost. (“La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole fino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”) può e deve rappresentare per tutti gli operatori del diritto il faro guida nella nebbia dell’incertezza della futura evoluzione tecnologica.
Inserito il 27/07/2005 | Cybercrimes