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La tutela giuridica dei nomi a dominio

di Alessio Canova (Consulente in proprietà intellettuale, www.cano.it)


Il fenomeno del cosiddetto “cybersquatting” (noto anche come “domain grabbing”), ovvero l’accaparramento abusivo di domini internet corrispondenti o fortemente somiglianti a marchi o a nomi di persone celebri, negli ultimi anni si è fortemente, fortunatamente ed indubbiamente ridimensionato. Sono infatti lontani i tempi in cui un Nicola Grauso, un po’ per attirare l’attenzione sulla debolezza del sistema di registrazione, un po’ per mal celato scopo di lucro, poteva investire decine di miliardi delle vecchie lire al fine di registrare 500.000 nomi a dominio coincidenti con nomi di città, di VIP e politici con la ragionevole speranza di rientrare dell’investimento senza essere sepolto dalle spese legali.
Nondimento, ancora oggi il problema della tutela giuridica del marchio o del nome di persona, illegittimamente registrati da altri come nome a dominio, continua ad essere sentito, seppur, come premesso, il fenomeno abbia assunto dimensioni quantitativamente meno preoccupanti.
Nell’ipotesi in cui una persona o un’azienda decida di affacciarsi sulla grande vetrina di internet e si accorga che il nome a dominio corrispondente al suo nome o marchio sia già stato assegnato a persona che, secondo il suo giudizio, non ne avrebbe diritto, le possibili strade per ottenere la disponibilità del segno distintivo sono sostanzialmente quattro: la trattativa commerciale; il ricorso alla procedura di riassegnazione (articolo 16 del Regolamento di Assegnazione); il ricorso all’arbitrato irrituale (articolo 15 del Regolamento di Assegnazione) o il ricordo al giudice ordinario.
Lasciamo un attimo da parte la prima soluzione e proviamo a concentrarci sulle rimanenti, le quali hanno caratteristiche e presupposti di diritto diversi.

Il nostro paese, come altri ma non tutti, ha previsto all’interno delle cosiddette Regole di Naming (che, dalla versione 4.0, hanno assunto il nome di Regolamento di Assegnazione) una “procedura di riassegnazione” dei nomi a dominio .IT, regolata dall’articolo 16. Si tratta tecnicamente di una ADR, ovvero di una Procedura Alternativa di Risoluzione delle Dispute (ADR = “Alternative Dispute Resolution”), modellata sull’analogo procedimento previsto dall’ICANN, l’ente nordamericano che gestisce i TLD .com, .org e .net.
Sinteticamente, presso la (compianta) Naming Authority sono ad oggi accreditati undici cosiddetti Enti Conduttori, ovvero enti che possiedono i requisiti necessari a svolgere la procedura amministrativa di riassegnazione di un nome a dominio. Ciascun Ente Conduttore dispone di un certo numero di “saggi” (almeno 15), ovvero persone dalla “comprovata esperienza” in tema di internet e domini, alle quali materialmente è affidata la decisione circa la riassegnazione di un dominio contestato.
Tale procedura ha innegabili vantaggi rispetto ad un procedimento ordinario presso un tribunale della Repubblica, soprattutto in termini di rapidità della decisione ed economicità del procedimento. Dove infatti un giudizio civile potrebbe richiedere numerosi anni per poter consentire al vincitore di ottenere un titolo esecutivo e diverse migliaia di euro in spese legali, la procedura di riassegnazione si conclude normalmente in poco più di un mese e costa circa da1000€ a 3000€, a seconda che la decisione sia devoluta ad un unico “saggio” o ad un collegio di tre.
L’efficacia ed il successo delle procedure di riassegnazione nella lotta al cybersquatting è testimoniata soprattutto dal fatto che il numero di ricorsi continua a calare, in decisa controtendenza nei confronti del numero sempre maggiore di registrazioni di nomi a dominio .IT.
E’ bene tuttavia comprendere che non tutti gli effetti derivanti da un procedimento ordinario possono prodursi anche per mezzo di una procedura di riassegnazione. Il giudizio ex articolo 16, infatti, rappresenta unicamente una interpretazione del Regolamento di Assegnazione per stabilire se l’attuale assegnatario ha titolo all’assegnazione del dominio contestato ed, eventualmente, per trasferire lo stesso nella disponibilità del ricorrente. Il “saggio” non ha poteri istruttori e fonda la sua decisione unicamente sulla documentazione fornita dalle parti, non può disporre misure cautelari né può intimare un risarcimento del danno subito: il suo unico potere è quello di accogliere o rigettare il ricorso, determinando quindi il trasferimento del dominio o il mantenimento dello stesso nella disponibilità del resistente.
Perché il ricorso sia accolto, ovvero perché si possa trasferire il nome a dominio contestato, devono verificarsi contemporaneamente tre condizioni (articolo 16.6 del Regolamento di Assegnazione):
“a) il nome a dominio contestato sia identico o tale da indurre confusione rispetto ad un
marchio su cui egli vanta diritti, o al proprio nome e cognome; e che
b) l'attuale assegnatario (denominato “resistente”) non abbia alcun diritto o titolo in relazione
al nome a dominio contestato; ed infine che
c) il nome a dominio sia stato registrato e venga usato in mala fede”.
I punti a) e b) sono i presupposti fattuali che normalmente determinano il desiderio del ricorrente di ottenere la disponibilità del nome a dominio; il vero punto cardine della procedura è invece il requisito della buona fede. Il problema è quindi quello di comprendere quando un uso possa considerarsi in buona fede e quando invece possa determinarsi una registrazione in mala fede.
Senza voler dissertare analiticamente su questo elemento soggettivo, più volte richiamato dal nostro ordinamento giuridico (nel diritto di famiglia, in tema di possesso e soprattutto in materia contrattuale), in riferimento alla registrazione di un nome a dominio la buona fede consiste più o meno nel richiedere l’assegnazione per un uso coerente con il contenuto del sito e non lesivo dei diritti altrui.
L’articolo 16.7 del Regolamento ci aiuta indicando alcuni indici di mala fede, posto che comunque il saggio o il collegio possono rilevare la mala fede anche da circostanze diverse:
“a) circostanze che inducano a ritenere che il nome a dominio è stato registrato con lo scopo
primario di vendere, cedere in uso o in altro modo trasferire il nome a dominio al ricorrente
(che sia titolare dei diritti sul marchio o sul nome) o ad un suo concorrente, per un
corrispettivo, monetario o meno, che sia superiore ai costi ragionevolmente sostenuti dal
resistente per la registrazione ed il mantenimento del nome a dominio;
b) la circostanza che il dominio sia stato registrato dal resistente per impedire al titolare di
identico marchio di registrare in proprio tale nome a dominio, ed esso sia utilizzato per
attività in concorrenza con quella del ricorrente;
c) la circostanza che il nome a dominio sia stato registrato dal resistente con lo scopo primario
di danneggiare gli affari di un concorrente o di usurpare nome e cognome del ricorrente;
d) la circostanza che, nell'uso del nome a dominio, esso sia stato intenzionalmente utilizzato
per attrarre, a scopo di trarne profitto, utenti di Internet creando motivi di confusione con il
marchio del ricorrente”.
Proviamo a fare un esempio per chiarire meglio: un nome a dominio come “Barbie.it” è indubbiamente identico ad un marchio molto noto potremmo dire tecnicamente “un marchio che gode di rinomanza”); se fosse stato registrato dalla signora Mariolina Rossi, casalinga di Voghera, anche il punto b) dovrebbe considerarsi verificato. A questo punto, la riassegnazione del dominio dipenderebbe unicamente dalla presenza o meno del requisito della mala fede nell’uso che di tale dominio viene fatto. Se dunque la signora Rossi utilizzasse il dominio in corrispondenza di un sito nel quale mostrasse la propria collezione ultradecennale di bambole Barbie, nessuna mala fede potrebbe ravvisarsi ed il “saggio” dovrebbe correttamente rigettare un eventuale ricorso da parte della Mattel. Viceversa, se la signora Rossi gestisse un albergo ed utilizzasse il dominio citato per attirare traffico approfittando della notorietà del marchio Barbie, allora innegabilmente sarebbe ravvisabile la mala fede ed il dominio dovrebbe essere riassegnato.
In sintesi, nonostante l’uso del marchio Barbie nell’esempio citato possa astrattamente costituire una violazione del diritto esclusivo sul segno distintivo registrato dalla Mattel (articolo 20 del Codice dei Diritti di Proprietà industriale), il saggio nel decidere un giudizio di riassegnazione deve, come premesso, limitarsi ad applicare il Regolamento di Assegnazione, il quale subordina l’accoglimento del ricorso alla contemporanea presenza delle tre condizioni ex articolo 16.6.

Il rispetto del Regolamento di Assegnazione, tuttavia, non garantisce all’assegnatario di un nome a dominio la piena liceità della registrazione, dal momento che, come abbiamo visto nell’esempio precedente, potrebbe anche porsi il caso che un nome a dominio perfettamente rispondente ai requisiti del Regolamento sia in realtà illecito se confrontato con il complesso delle norme dell’ordinamento giuridico. Il Regolamento di Assegnazione è infatti una normativa di natura privatistica e contrattuale, come tale destinata a soccombere nei confronti di norme imperative dello Stato.
Ripetiamo tuttavia che nella procedura di riassegnazione il saggio deve limitarsi ad applicare il Regolamento, motivo per il quale l’eventuale illiceità di un nome a dominio per contrasto con una disposizione di legge deve essere fatta valere dinanzi ad un tribunale della Repubblica.
Esemplare in questo senso è il caso “armani.it”: la riassegnazione del dominio, originariamente registrato da Luca Armani, titolare dell’omonimo timbrificio in Treviglio (BG) è stata ottenuta dal popolare stilista Giorgio Armani dal giudice Geraci del Tribunale di Bergamo. In una procedura di riassegnazione, infatti, il saggio avrebbe dovuto rigettare il ricorso per mancanza del citato requisito ex articolo 16.6, punto b) del Regolamento di Assegnazione: Luca aveva indubbiamente un titolo alla registrazione di “armani.it”, essendo il dominio coincidente con il proprio cognome! Coerentemente, quindi, i legali dello stilista hanno fatto valere l’uso non descrittivo del marchio “armani” all’interno di un nome a dominio, in violazione dell’articolo 1 della Legge Marchi, comma 1 punto c), dinanzi ad un Tribunale della Repubblica.
Indubbiamente il ricorso alla procedura ordinaria risulta più costoso, sia in termini di tempo che di denaro, e viene ritenuto poco appetibile dai privati o dalle aziende di piccole dimensioni. Tale procedimento tuttavia consente al vincitore di ottenere, oltre alla disponibilità del dominio contestato, anche un risarcimento del danno subito, sia in forma di danno emergente che di lucro cessante.

A metà strada tra le due soluzioni appena prospettate sta l’arbitrato previsto dall’articolo 15 del Regolamento di Assegnazione. Nella Lettera di Assunzione di Responsabilità (LAR) sottoscritta in sede di richiesta di assegnazione, infatti, è possibile aderire facoltativamente ad una clausola nella quale ci si impegna a risolvere le eventuali controversie sul relativo nome a dominio dinanzi ad un collegio arbitrale.
Tale collegio ha poteri maggiori del “saggio” chiamato a decidere una procedura di riassegnazione: l’articolo 15.5 delle Regolamento stabilisce espressamente che "ricorrendo gravi motivi, su richiesta di una delle parti il collegio arbitrale ha facoltà di prendere provvedimenti cautelari relativi al nome a dominio e al nome a dominio assegnato in contestazione. La RA (“Registration Authority”, ndA) è tenuta ad dare immediatamente esecuzione a tali provvedimenti. Nel caso vi sia necessità di istruttoria, il collegio arbitrale può delegare gli atti di istruzione ad uno solo degli arbitri. La RA è tenuta a fornire al Collegio arbitrale tutte le informazioni da esso richieste”. Inoltre, per quanto riguarda le fonti della decisione, “gli arbitri giudicano secondo equità, quali amichevoli compositori, sulla base delle presenti regole di naming e delle norme dell'ordinamento italiano” (articolo 15.6). Infine, per quanto riguarda l’efficacia del lodo arbitrale, la decisione è equiparata a quella della magistratura ordinaria ed è inappellabile nel merito.
Ciononostante, il ricorso al citato arbitrato è statisticamente assai modesto, soprattutto perché si tratta di un procedimento molto più costoso di una procedura di riassegnazione.
Proprio il problema dei costi delle procedure per ottenere il trasferimento di un dominio registrato illegittimamente da altri rende spesso preferibile il ricorso alla trattativa commerciale anche da parte di soggetti che potrebbero facilmente ottenere una sentenza o un lodo favorevoli. Come noto, infatti, il costo di registrazione di un nome a dominio è nell’ordine di poche decine di euro: spesso si rivela quindi più semplice e rapido pagare fino ad un migliaio di euro all’attuale assegnatario piuttosto che spendere due o tre volte tanto (nella migliore delle ipotesi) per una procedura di riassegnazione.
In taluni casi, tuttavia, il nome a dominio ha un valore commerciale molto alto o, come nel caso “armani”, una grande capacità di attirare traffico, di modo l’assegnatario o non è disposto a cederlo o per il trasferimento chiede una cifra tale da rendere economicamente preferibile il ricordo al Tribunale.



Inserito il 30/06/2005 | Nomi a dominio


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